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Focus sulla responsabilità professionale dell’Avvocato

Focus sulla responsabilità professionale dell’Avvocato.

Il rapporto che si instaura tra cliente e Avvocato viene qualificato come mandato professionale il cui adempimento comporta lo svolgimento di tutte le attività utili per la tutela dell’assistito, sia che riguardi un’attività stragiudiziale sia che riguardi un’attività giudiziale.

Focus sulla responsabilità dell’Avvocato, i riferimenti normativi.

Ne deriva che il riferimento normativo è agli articoli che disciplinano il contratto di mandato, agli articoli 2230 e seguenti del c.c., nonché alle norme del codice deontologico.

Nell’esecuzione del contratto d’opera professionale, l’avvocato è tenuto a mantenere una diligenza commisurata al tipo di prestazione richiestagli; generalmente il riferimento è all’art. 1176 c.c., ovvero un grado di diligenza medio “a meno che la prestazione professionale da eseguire in concreto involga la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà: in tal caso la responsabilità del professionista è attenuata, configurandosi, secondo l’espresso disposto dell’art. 2236 c.c., solo nel caso di dolo o colpa grave, con conseguente elusione nell’ipotesi in cui nella sua condotta si riscontrino soltanto gli estremi della colpa lieve” (Cass. 8470/1995).

In tal caso di responsabilità attenuata l’accertamento è rimesso al giudice del merito, il cui giudizio è incensurabile in sede di legittimità, purché sostenuto da motivazione congrua ed esente da vizi logici ed errori di diritto (Cass. 9 giugno 2004 n. 10966; Cass. 27 marzo 2006 n. 6967; Cass. 26 aprile 2010 n. 9917; Cass. 5 febbraio 2013 n. 2638).

La Cassazione (499/2001) ha altresì precisato che il rapporto tra le due norme è di integrazione per complementarietà per cui la regola generale è quella dettata dall’art. 1176 c.c. con riguardo alla natura dell’attività prestata, mentre quando la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà diventerà operante l’art. 2236 c.c. che limita  la responsabilità dell’ Avvocato al dolo o colpa grave.

Focus sulla responsabilità dell’Avvocato, il tipo di obbligazione.

Qualificata dalla giurisprudenza come obbligazione di mezzi – fino alla storica sentenza della Corte di Cassazione del 2008 che ha fatto un passo indietro nella distinzione tra obbligazione di mezzi e risultato –  l’Avvocato dovrà porre in essere tutte le condizioni necessarie per il raggiungimento dello scopo, senza essere appunto obbligato al raggiungimento dello stesso.

È unanime l’orientamento per cui “l’inadempimento del professionista non può essere desunto dal mancato raggiungimento del risultato utile sperato dal cliente, ma deve essere valutato alla stregua dei doveri inerenti allo svolgimento dell’attività professionale, ed in particolare del dovere di diligenza, per il quale trova applicazione il criterio di cui all’art. 1176 c.c, sicchè la diligenza che il professionista deve utilizzare è quella media, cioè quella del professionista di preparazione professionale e attenzione medie, salvo il caso in cui la prestazione professionale involga la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà, nel qual caso la responsabilità è attenuata, configurandosi la previsione di cui all’art. 2236 c.c. solo nel caso di dolo o colpa grave. L’accertamento relativo al se la prestazione professionale implichi la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà è rimesso al giudice di merito ed il relativo giudizio è incensurabile in sede di legittimità sempre che sia sorretto da motivazione congrua ed esente da vizi logici o da errori di diritto.” ( Cass. 7618/1997).  Ugualmente a nove anni di distanza, la seconda sezione civile della Cassazione, con la sentenza n. 2954/2016 ribadisce il medesimo principio.

Focus sulla responsabilità dell’Avvocato, l’onere della prova.

Circa l’onere della prova un precedente orientamento poneva a carico del cliente la dimostrazione del danno e del fatto che questo fosse stato cagionato dalla insufficiente o inadeguata attività, ovvero dalla difettosa esecuzione della prestazione del professionista, rimanendo a carico di quest’ultimo la dimostrazione della impossibilità a lui non imputabile della perfetta esecuzione della prestazione stessa.

Nel 2001 si assiste ad un’inversione di tendenza: “in tema di inadempimento di un’obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l’adempimento deve soltanto provare la fonte del suo diritto ed il relativo termine di scadenza limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dall’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento”.

Nel 2005 e nel 2008 due importanti sentenze delle S.U. della Suprema, in merito alla distinzione tra obbligazioni di mezzi e  di risultato, con cui hanno affermato che “la distinzione tra obbligazioni di mezzi e di risultato ha solo carattere descrittivo e non ha alcuna incidenza sul regime di responsabilità ove è richiesto al professionista di attenersi a parametri molto rigidi di professionalità, notandosi come lo stesso standard di diligenza sia cresciuto sensibilmente, comprimendo l’area della colpa grave nei confronti di problemi tecnici di speciale difficoltà”.

Le S.U. affermano che “L’inadempimento rilevante nell’ambito dell’azione di responsabilità per il risarcimento del danno nelle obbligazioni c.d. di comportamento non è qualunque inadempimento, ma solo quello che costituisce causa o concausa efficiente del danno. Ciò comporta che l’allegazione del creditore non può attenere ad un inadempimento, quale esso sia, ma ad un inadempimento, per così dire qualificato, e cioè astrattamente efficiente alla produzione del danno; comporterà al debitore dimostrare che tale inadempimento non vi è stato ovvero che , pur esistendo, non è stato nella fattispecie causa del danno”.

Il cliente che sostiene di aver subito un danno per l’inesatto adempimento del mandato professionale del suo avvocato, avrà l’onere di provare l’avvenuto conferimento del mandato difensivo, di dedurre la difettosa o inadeguata prestazione professionale, di provare l’esistenza del danno e il nesso di causalità tra la difettosa o inadeguata prestazione e il danno ( Cass. 18/04/2007 n. 9238).

Dovrà dunque provare che “l’errore” dell’Avvocato ha determinato l’esito nefasto, e che invece un comportamento differente avrebbe fatto ottenere l’esisto sperato. In quest’ottica la Suprema Corte non ha ritenuto inadempiente il professionista che  omette di citare un testimone (Cass. 89127/2016) o omette di presenziare in udienza laddove difetti la verifica “che la condotta inadempiente dell’avvocato, consistita nella mancata presenza all’udienza di ammissione dei mezzi di prova e nella mancata produzione di un documento attestante le spese mediche sostenute, avesse costituito con certezza o, quanto meno, con elevata probabilità, causa della perdita della possibilità di accoglimento della pretesa risarcitoria della cliente, sì da far concludere che tali errori professionali avessero reso la prestazione difensiva comunque svolta dal professionista del tutto inutile, ovvero totalmente inadempiuta, con la conseguenza che non sarebbe dovuto alcun compenso.” Cass. 25894/2016, per un maggior approfondimento si legga Quando l’Avvocato è inadempiente?

La responsabilità professionale dell’avvocato nei confronti del proprio cliente presuppone che sia data la prova del danno e del nesso causale tra la condotta negligente e il pregiudizio subito. Ad affermarlo è la terza sezione civile della Cassazione, con la sentenza n. 10526/2015, spiegando che è necessario verificare, secondo un giudizio probabilistico, se la condotta alternativa del professionista avrebbe potuto effettivamente determinare un vantaggio per il cliente.  Lo stesso principio è, poi, affermato nella sentenza 297/2015 dove si legge che perché insorga il diritto al risarcimento sarà necessario valutare, sulla base di un giudizio probabilistico se il cliente avrebbe avuto un risultato favorevole qualora non ci fosse stato l’errore del professionista; ugualmente la sentenze n.1984/2016.

Il danno risarcibile, che non deve essere confuso, con l’inadempimento, deve essere provato come concreto pregiudizio subito, appunto, in conseguenza dell’inadempimento: in tal senso Tribunale di Milano 15.04.2015 n. 4699 e Cass. n. 10698 del 2016 con cui viene chiarito che la responsabilità dell’avvocato non può affermarsi per il solo fatto del suo non corretto adempimento dell’attività professionale; al contrario occorre verificare: se l’evento produttivo del pregiudizio lamentato dal cliente sia davvero stato determinato dalla condotta dell’avvocato, se un danno vi sia stato effettivamente e se, ove l’avvocato avesse tenuto il comportamento dovuto, il suo assistito, alla stregua di criteri probabilistici, avrebbe conseguito il riconoscimento delle proprie ragioni.

Focus sulla responsabilità dell’Avvocato, l’obbligo di informazione.

responsabilita

Ricompreso nell’alveo dell’art. 1176 secondo comma si trova l’obbligo di informazione cui deve adempiere l’Avvocato, che per i Giudici di legittimità (Cass. n. 22274/2010 e Cass. n. 6782/2015) si  concretizza nel “dovere di assolvere anche ai doveri di sollecitazione, dissuasione e informazione del cliente, rappresentando tutte le questioni in fatto e in diritto comunque insorgenti, ostative al raggiungimento del risultato o comunque produttive del rischio di effetti dannosi.” Ugualmente Cass. n. 9645/2016.

Ma ancora, già del 2010 nella sentenza n. 15717/2010 si legge che “E’ indubbio che – anche e soprattutto con riferimento alle c.d. cause perse , l’attività del difensore, se bene svolta, può essere preziosa, al fine di limitare o di escludere il pregiudizio insito nella posizione del cliente… Il difensore può non accettare una causa che prevede di perdere ma non può accettarla e poi disinteressarsene del tutto, con il pretesto che si tratta di causa persa.”

Fondamentale sarà piuttosto informare il cliente delle scarse o nulle possibilità di successo insite nella causa che gli viene affidate e delle possibili conseguenze pregiudizievoli di una partecipazione al giudizio. Il professionista dovrà inoltre svolgere una attività di dissuasione, rivolta a convincere il cliente a desistere dal proprio intento di agire o resistere in giudizio. In mancanza di tali adempimenti egli non adempierà correttamente all’incarico affidatogli e sarà quindi tenuto a risarcire i danni derivanti da una inadeguata attività.

Focus sulla responsabilità dell’Avvocato, sanzioni disciplinari.

Infine, in merito alla responsabilità disciplinare dell’avvocato si segnalano due recenti pronunce delle sezioni  Unite: la n. 8057/2014 e la n. 25663/2016. In entrambi i casi la sanzione è quella della censura.

L’art. 51, comma secondo, del previgente codice deontologico professionale forense (il nuovo testo, allo stesso articolo, prevede i casi in cui l’avvocato deve astenersi dal testimoniare) recitava testualmente: “l’assunzione di un incarico professionale contro un ex-cliente è ammessa quando sia trascorso almeno un biennio dalla cessazione del rapporto professionale e l’oggetto del nuovo incarico sia estraneo a quello espletato in precedenza. In ogni caso è fatto divieto all’avvocato di utilizzare notizie acquisite in ragione del rapporto professionale già esaurito. L’avvocato che abbia assistito congiuntamente i coniugi in controversie familiari deve astenersi dal prestare, in favore di uno di essi, la propria assistenza in controversie successive tra i medesimi”.

Le Sezioni Unite hanno confermato la sanzione della censura nei confronti di un avvocato che, dopo aver assistito congiuntamente due coniugi in fase di separazione, ha poi continuato a seguire solo uno dei due in successivo procedimento di revisione delle condizioni di separazione. Secondo le Sezioni Unite sarebbe sufficiente la sola assistenza formale, pur in assenza di conferimento di specifica procura: il dato fattuale, la sostanza, prevale sulla forma.

Ugualmente le Sezioni Unite, confermano la sanzione della censura per l’avvocato che adempieva all’incarico senza la dovuta diligenza e l’adeguata competenza e ciò in virtù dell’art, 38 cod. deont. per cui “Costituisce violazione dei doveri professionali, il mancato, ritardato o negligente compimento di atti inerenti al mandato quando derivi da non scusabile e rilevante trascuratezza degli interessi della parte assistita”. Per un maggior approfondimento si legga Avvocato impreparato e incompetente censura l’attende!

Concludendo, nel ricordare la recente sentenza n. 5454 del 16 settembre 2016 della Corte di Appello di Roma in cui viene affermato che costituisce grave negligenza professionale la condotta dell’Avvocato che dimentica di impugnare il licenziamento illegittimo del proprio assistito e non comunica la dimenticanza al cliente con conseguente risarcimento del danno esistenziale e patrimoniale – se dimostrato –  ( per un maggior approfondimento si legga Responsabilità professionale, se l’Avvocato “dimentica” la causa il cliente va risarcito?) non si può non pensare a quanto sono lontani quei momenti … quando si riteneva che ogni sentenza fosse “condizionata da una quantità di fattori inimmaginabili, da indurre a negare la sussistenza un danno risarcibile, anche in presenza di una accertata negligenza professionale” (Trib.. Roma 3 marzo 1954).

Iolanda Giannola

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