Shopping Cart

“La società civile è pronta, subito la legge sull’eutanasia”. Intervista a Marco Cappato

Dopo lo straziante addio a Dj Fabo, oggi è morto Davide Trentini, 53enne malato di sclerosi multipla,  accompagnato in Svizzera per sottoporsi alle pratiche di suicidio assistito, questa volta da Mina Welby, co-presidente dell’Associazione Luca Coscioni. Adesso, come Marco Cappato per l’accompagnamento di Dj Fabo, la co-presidente dell’Associazione Luca Coscioni rischierà fino a 12 anni di carcere.

Nel perdurante silenzio della politica, sono centinaia le persone che si sono rivolte all’Associazione Luca Coscioni per ricevere informazioni su come fare per raggiungere le cliniche elvetiche in cui viene data assistenza al suicidio. Ne abbiamo parlato con Marco Cappato, che ancora domenica scorsa si è fatto promotore di un’iniziativa  in sedici piazze italiane per tenere alta l’attenzione sul tema.

Buongiorno Marco. Lei ha da poco accompagnato DJ Fabo a Zurigo per permettergli di esercitare un diritto fondamentale di ciascun uomo, quello all’autodeterminazione. Perché l’Italia non garantisce tale diritto ai suoi cittadini?

La Costituzione lo garantisce – nella teoria-, purtroppo però nella pratica prevalgono leggi e procedure intrise da un misto di difesa corporativa del potere medico e concezioni ideologiche sulla sacralità della vita o sulla superiorità del bene collettivo. Ricordiamoci che l’articolo del codice penale sull’aiuto al suicidio è un prodotto dell’epoca fascista.

Ci racconti brevemente, se vuole, le emozioni che ha provato.

Sono state giornate di grande tensione, nelle quali mi sono concentrato a fare ciò che ritenevo un mio obbligo morale nei confronti di Fabo. Il suo spirito forte e il suo umorismo, che non l’hanno mai abbandonato, hanno reso tutto meno difficile.

È orgoglioso del messaggio che ha lanciato?

Credo di aver fatto la cosa giusta, e credo che abbia aiutato molti a riflettere, magari giungendo a conclusioni opposte, ma va bene… perché il nemico da combattere è l’indifferenza.

Quando un malato terminale in Italia non vuole continuare le cure, anche quelle palliative, cosa può fare? Quali sono i suoi diritti? E se il paziente versa in stato di incoscienza? I parenti vantano qualche diritto sul proprio congiunto malato terminale?

Il malato ha diritto a interrompere le cure in qualsiasi momento. Se i medici si rifiutano, deve formalizzare la sua decisione e, se qualcuno si mette di traverso, bisogna cercare un avvocato che garantisca che i sui diritti vengano rispettati davanti alla legge. Il paziente ha anche diritto a essere sedato per non soffrire. Chi non è in grado di intendere e di volere può comunque far valere volontà precedentemente espresse. Un figura utile è quella dell’amministratore di sostegno, che può anche non essere un parente. I parenti non hanno l’autorizzazione di ostacolare la scelta del malato.

In Italia ci sono medici che si azzardano ad aiutare le famiglie a porre fine alle sofferenze di un loro congiunto malato terminale?

Sì, e lo posso fare se si limitano a interrompere terapie. Ci sono poi comportamenti al limite della legalità, in una sorta di zona grigia, soprattutto nei casi di emergenza.

Attualmente Lei è indagato per dei reati abbastanza gravi: ritiene che i magistrati che la giudicheranno ascolteranno le sue difese basate sui principi della nostra Costituzione o teme che si atterranno ciecamente ai dettami del codice penale, che come sappiamo risale al 1930?

Non voglio fare previsioni. Penso sia evidente ciò che sarebbe più utile non tante per me, ma per tutti i cittadini.

Ritiene che l’Italia sia pronta ad affrontare il dibattito sull’eutanasia, sia essa attiva o passiva?

L’opinione pubblica è pronta da molti anni. La classe politica, salvo eccezioni, lo è molto meno. E pure quella degli editori non scherza.

Ritiene che questo Parlamento sia culturalmente pronto e soprattutto capace di scrivere una buona legge sull’eutanasia o sul testamento biologico?

Sul testamento biologico il testo in discussione è oggettivamente una buona base di partenza. Ci sono anche Parlamentari molto competenti. Se il dibattito fosse ben seguito dai mezzi di informazione, credo che potrebbero fare un buon lavoro. Purtroppo, il sistema informativo spesso valorizza il peggio, cioè i proclami ideologici privi di sostanza.

A quale modello legislativo vorrebbe che l’Italia si ispirasse? Ce lo descriva brevemente.

L’importante è che lo Stato sia al servizio della persona. Credo che vada preso il meglio del modello svizzero (intervento legislativo molto leggero, con responsabilizzazione del medico per la valutazione delle richieste di aiuto alla morte volontaria) e belga-olandese, di vera e propria “eutanasia” con rigorosi sistemi di controllo.

Lei ha dichiarato che è disposto ad accompagnare in Svizzera altri malati. Spera che ci sia qualcun altro che abbia le sue stesse convinzione e, diciamolo, il suo coraggio? Vorrebbe realizzare una pacifica depenalizzazione del reato di istigazione e d aiuto al suicidio?

Depenalizzare questo reato, almeno per alcune tipologie di malati, sarebbe un atto di civiltà e un passo importante per il rispetto della libertà di scelta. Ci sono già altri che mi aiutano: Mina Welby e Gustavo Fraticelli condividono con me le responsabilità attraverso un’associazione che gestisce il sito www.soseutanasia.it. Penso che troveremo altre persone disposte ad aiutarci.

Ultimi articoli

I LICENZIAMENTI COLLETTIVI NEL DIALOGO DELLE ALTE CORTI
I LICENZIAMENTI COLLETTIVI NEL DIALOGO DELLE ALTE CORTI
IL SALARIO MINIMO GARANTITO: TRA SPERANZE, UTOPIE E REALTÀ
AI Act. Rischi e prospettive sui diritti fondamentali.

Formazione Professionale per Avvocati
P.Iva: 07003550824

Privacy Policy | Cookie Policy

Partner