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Parto anonimo, la Cassazione: i figli possono cercare la madre

La possibilità del figlio adottivo di venire a conoscenza delle proprie origini, cioè dell’identità della madre che ha deciso di partorire in totale anonimato, presto potrebbe diventare un vero e proprio diritto, per legge. Il 18 giugno 2015 la Camera dei deputati ha infatti approvato un disegno di legge che modifica la norma che vieta ai figli non riconosciuti alla nascita di accedere alle informazioni sulle proprie origini se non dopo 100 anni. Questa legge darebbe la possibilità al figlio maggiorenne di interpellare, attraverso una richiesta al tribunale dei minori del luogo di residenza, la madre biologica, la quale potrà decidere di interrompere o meno l’anonimato, oppure di procedere nel caso la madre fosse nel frattempo deceduta. Il disegno di legge è poi passato al Senato, dove è rimasto fermo per due anni. Solo pochi giorni fa è ripresa la discussione in Commissione Giustizia.

Questo importante traguardo, che ormai sembra prossimo, è il risultato di una battaglia che il Comitato nazionale per il diritto alle origini biologiche combatte dal lontano 2008, come ha ricordato la presidente del comitato, Anna Arecchia, intervenendo al convegno “Diritto alle origini biologiche: il nuovo percorso legislativo” che si è tenuto a Palermo, nella sala delle lapidi di Palazzo delle Aquile, lo scorso 6 maggio. “Conoscere la propria madre biologica è un diritto dei figli abbandonati alla nascita”, ha commentato. In Italia sono 400 mila i casi, dagli anni ’30 ad oggi, e si concentrano soprattutto nel centro-sud. Nella maggior parte dei casi la scelta dell’abbandono è dettata dal forte disagio sociale e dalla povertà, da gravidanze indesiderate prima del matrimonio o da relazioni extraconiugali. “Ancora oggi al riconoscimento di questo diritto vi sono forti ostacoli dovuti a pregiudizi morali”, ha commentato Anna Arecchia. In gioco vi sono due contrapposti diritti, ossia quello di ogni persona di conoscere le proprie origine e quello contrapposto dell’oblio della donna che partorisce avvalendosi dell’anonimato.

L’intervento della Consulta e della Corte di Cassazione

Nel 2013 la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittime le norme che impediscono, per motivi di privacy, di risalire ed interpellare la mamma biologica. E’ da allora che si aspetta l’intervento del legislatore. Con la sentenza n. 1946 del 25 gennaio 2017, le Sezioni unite della Cassazione hanno affrontato per la prima volta la questione dell’attuabilità della tutela giurisdizionale del diritto all’accesso alle origini, stabilendo che, per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 278 del 2013, anche se il legislatore non ha ancora introdotto la disciplina procedimentale attuativa, sussiste la possibilità per il giudice, su richiesta del figlio desideroso di conoscere le proprie origini, di interpellare la madre che abbia dichiarato alla nascita di non voler essere nominata. L’interpello della madre ha il fine di verificare un’eventuale revoca dell’iniziale dichiarazione di anonimato, comunicando così al figlio Senza titolo1l’identità della madre (che abbia cambiato idea). La Corte cerca così di intervenire in risoluzione di un dibattito giurisprudenziale che sta interessando sempre più casi concreti, con tanti figli adottivi che si rivolgono al giudice per conoscere l’identità della madre biologica, e finalmente ha risolto il contrasto giurisprudenziale sugli effetti della sentenza della Corte costituzionale.

Figli adottivi alla ricerca della madre biologica: la storia di due gemelle divise per 40 anni

In attesa che il legislatore faccia la sua parte, a scuotere le coscienze ci sono le testimonianze dei figli che ancora oggi sono alla ricerca dei propri genitori. Una di queste è Sabrina Anastasi, che per quarant’anni ha ignorato di avere una sorella gemella. È stato grazie ad un certificato di battesimo e un nome portato per appena tre mesi di vita che le hanno consentito di trovare sua sorella Carmen. Le due erano state partorite e abbandonate alla Real Casa dell’Annunziata di Napoli nel 1967, per poi essere date in adozione. Sabrina venne adottata da una famiglia palermitana e portata in Sicilia. “Sapevo della mia adozione sin da piccola, ma il desiderio di risalire alle mie origini è emerso in modo forte con l’esperienza della maternità”, racconta Sabrina. Dopo essere risalita al suo primo nome, Maria Sila, si iscrive ad un forum di figli adottati e comincia a cercare informazioni sulla sua permanenza nell’orfanotrofio dell’Annunziata. Scopre così che lo stesso giorno del suo battesimo, venne battezzata una bambina col suo stesso cognome, Carmela Sila. È così che nel 2009 riesce a riabbracciare sua sorella gemella, adottata anche lei a pochi mesi. “Dietro questo abbraccio ci sono 40 anni di lontananza forzata e la sofferenza di chi ci ha messe al mondo e poi abbandonate”. Insieme le due sorelle stanno portando avanti la ricerca delle proprie origini: “Abbiamo bisogno di sapere chi siamo”.

Il riconoscimento legislativo di questo diritto è un traguardo importante e che potrà aiutare tanti figli senza più radici, ma ancora si frappongono degli ostacoli: è concentro il pericolo che i parlamentari approvino anche un solo emendamento, il che, a causa del meccanismo della navetta, renderebbe oggettivamente improbabile l’approvazione della legge entro la fine della legislatura. Tuttavia il comitato per il diritto alle origini non si perde d’animo: “Continueremo a portare avanti questa battaglia”, ha dichiarato Anna Arecchia, “e a sollevare le coscienze, perché purtroppo se ne parla troppo poco”.

Eliseo Davì

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