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Mafia capitale: nel 2014 “Mondo di mezzo”, l’inchiesta che travolse Roma

 

Sono passati oltre due anni e mezzo da quando, con due retate, l’inchiesta ‘Mondo di Mezzo’ travolge politici, amministratori, imprenditori e criminali romani. La prima

scatta il 2 dicembre 2014, con 37 arresti, tra cui l’ex Nar Massimo Carminati e il ras delle cooperative Salvatore Buzzi, ritenuti dall’accusa ai vertici della cupola romana. Dopo sei mesi, il 4 giugno, la seconda retata: altri 44 arresti, uno tsunami per la politica romana, da destra a sinistra.

A meno di un anno dall’inchiesta si apre il processo. E, a partire dal 5 novembre 2015, giorno di apertura del dibattimento, un esercito di avvocati, più di 60, lavora per smontare udienza dopo udienza l’impianto accusatorio.

Tra gli imputati eccellenti Buzzi è il più loquace. Più volte, in videoconferenza dal carcere di Tolmezzo, il fondatore della Coop 29 giugno chiede la parola per ribattere alle ricostruzioni fatte in aula. Da Parma, invece, dove è detenuto al 41 bis, Carminati segue quanto avviene in aula senza proferire parola e solo a quasi un anno

dall’inizio del dibattimento rompe il silenzio. Nel giro di pochi giorni più volte chiede di fare dichiarazioni spontanee, anche per attaccare ‘L’Espresso’ e per ammettere per la prima volta che i soldi li ha fatti grazie al colpo al caveau della Banca di Roma.

Sul banco dei testimoni nei mesi che si susseguono sfilano persone comuni, funzionari pubblici e volti noti della politica. Alcuni parlano, altri preferiscono non rispondere, altri si trincerano dietro i ‘non ricordo’. Altri ancora ritrattano “per

paura”, dice il pm Luca Tescaroli, come Vittorio Grilli, uno dei supertestimoni dell’accusa.

A febbraio 2017 un nuovo colpo di scena. Su richiesta della Procura di Roma, il gip decide di archiviare 113 persone tirate in ballo dalle dichiarazioni di alcuni imputati, in vari filoni dell’inchiesta perché non esistono ”elementi idonei a sostenere l’accusa in giudizio”.

”Sbaglia chi pensa si sia sgonfiato tutto con questo decreto di archiviazione”, mette in chiaro il procuratore aggiunto Paolo Ielo nell’aula di Rebibbia, anzi è la dimostrazione del ”rigore che si è seguito nel lavoro probatorio perché i processi si fanno con le prove, quelle vere, e non con le suggestioni”.

“Non è stato un ‘Truman show’, i vari protagonisti parlavano di fatti veri”, scandiscono i pm di Roma all’inizio dei quattro giorni di requisitoria al maxiprocesso, al termine della quale chiederanno per i 46 imputati oltre 500 anni di carcere.

Un’associazione con un ”capitale originario, che affonda le sue radici nell’eversione di destra, che gli consente di poter applicare, non con le bombe, il suo potere di intimidazione”.

Migliaia le intercettazioni telefoniche e ambientali risuonate in aula che per i pm Paolo Ielo, Giuseppe Cascini e Luca Tescaroli costituiscono il vero ”cuore del processo e una prova autonoma che non ha bisogno di riscontro”, capaci di svelare un ”karaoke della corruzione”, dove ”gli appalti della pubblica amministrazione venivano gestiti come una caciotta da spartire senza alcuna attenzione per il bene comune”. Diversa la posizione delle difese che parlano di processo ”farsesco”, ”stalinista” dove gli imputati sono stati ”radiografati per quel che rappresentavano e non per quello che hanno fatto”, dove un ”cazzeggio tra coatti”, ”quattro chiacchiere da bar”, come la ‘Teoria del Mondo di Mezzo’, copyright dello stesso Carminati, sono state ”elette a prova” del metodo mafioso.

Alla fine il processo si concluderà con pene decisamente più basse di quelle richieste dai pm (meno di 300 anni di carcere complessivi contro oltre 500), con la caduta dell’accusa di associazione mafiosa e con cinque assoluzioni, tra cui quella dell’ex dg di Ama, Giovanni Fiscon e di Rocco Rotolo e Salvatore Ruggiero, accusati di essere il collegamento del clan Carminati & Buzzi con la ‘ndrangheta.

Quarantuno le condanne: per l’ex Nar Massimo Carminati, quella più dura, 20 anni di reclusione e 14mila euro di multa, seguito a ruota dal ‘ras delle cooperative’ Buzzi con 19 anni. Poi, tra gli altri, 11 anni a Riccardo Brugia, considerato il braccio destro di Carminati, e all’ex capogruppo Pdl alla Regione Lazio Luca Gramazio, unico politico con l’accusa di associazione mafiosa; dieci anni per l’ex amministratore delegato di Ama, Franco Panzironi, sei anni per Mirko Coratti, ex presidente dell’assemblea capitolina, sei anni e sei mesi per Luca Odevaine, ex componente del Tavolo di coordinamento nazionale sui migranti del Viminale; 5 anni per Andrea Tassone, ex presidente Pd del Municipio di Ostia, e per Nadia Cerrito, segretaria di Salvatore Buzzi, tre anni di reclusione per Giordano Tredicine, ex consigliere comunale di Forza Italia.

(Del/AdnKronos)

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