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Sicilia: sulla incompatibilità dei consiglieri regionali la parola passa alla Consulta

Ancora una volta sarà la Corte costituzionale a dover cavare le castagne dal fuoco alla politica. Il teatro della vicenda è, in questo caso, l’Assemblea regionale siciliana. A far scoppiare il caso è stato il deputato regionale del Pd Pino Apprendi, che, primo dei non eletti, per potersi insediare aspettava che venisse dichiarata la decadenza dell’onorevole Francesco Riggio, l’avvocato coinvolto nello scandalo dei corsi di formazione Ciapi, condannato in via definitiva dalla Corte dei conti per un danno erariale pari a oltre 3,7 milioni di euro. Apprendi chiedeva l’applicazione anche in Sicilia una legge nazionale che prevede l’incandidabilità e la decadenza dei deputati che hanno subito una condanna per danno erariale. Ma, per dirla con Flaiano, «in Italia la linea più breve tra due punti è l’arabesco». E figuriamoci in Sicilia, dove l’arabesco appartiene al paesaggio urbano e culturale da secoli. Apprendi ha infatti dovuto prendere atto che per il parlamento siciliano – che piccandosi di essere il più antico del mondo non intende certo sfigurare in bizantinismi – questa regola non si applica. O Meglio: si applica ai consiglieri comunali, ai consiglieri provinciali e perfino a quelli di quartiere, ma non riguarda i consiglieri regionali, che – per inciso – in Sicilia possono fregiarsi del titolo di Onorevoli. Il perché è semplice: la legge regionale 20 marzo 1951, n. 29 non ha previsto questa causa.

Apprendi – che nel frattempo è comunque riuscito a scalzare Riggio dalla sua poltrona a Palazzo dei Normanni grazie al sopravvenire di una condanna penale a suo che ne ha determinato la decadenza per effetto della legge Severino – ha deciso di non retrocedere rispetto alla questione di principio e si è rivolto agli avvocati Diego Vaiano, Francesco Leone e Simona Fell per chiedere che questo strano privilegio per gli onorevoli siciliani nascosto tra le pieghe della legislazione regionale fosse dichiarato illegittimo.  «La cosa incredibile – dichiara l’avvocato Francesco Leone ai giornalisti – è che Pino Apprendi viene da noi con la normativa nazionale, secondo cui dovrebbe essere eletto, perché nel resto d’Italia il deputato condannato per danni erariali dovrebbe decadere siamo andati a vedere la normativa regionale e ci siamo resi conto che c’è un vulnus inspiegabile».

L’agguerrito team legale si è dunque rivolto al Tribunale di Palermo prospettando l’incostituzionalità degli articoli 10 ter e 10 quater della legge regionale 20 marzo 1951, n. 29. Le loro tesi hanno convinto il collegio che ha emesso un’ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale evidenziando – secondo la formula convenzionale – la «rilevanza e la non manifesta infondatezza» della questione eccepita «sotto i profili della irragionevolezza e della disparità di trattamento in violazione degli articoli 3, 51 e 24 della Costituzione, nella misura in cui esso si discosterebbe ingiustificatamente non soltanto da quanto previsto in ambito nazionale dagli articoli 3, co. 5, della l. 23 aprile 1981, n. 154 in relazione alle cause di incompatibilità con l’ufficio di consigliere regionale, ma anche da quanto disposto dall’articolo 10, co. 5, della l. r. 25 giugno 1986, n. 31, con riferimento alle cause di incompatibilità con le cariche di consigliere provinciale, comunale e di quartiere nell’ambito della Regione siciliana». Pur avendo tentato, come prescrive la stessa Consulta, di «sperimentare la possibilità di dare alla disposizione censurata un’interpretazione costituzionalmente orientata» il giudice remittente ha ritenuto di dover investire della questione la Corte, poiché «una diversificazione attuata nell’esercizio di una competenza legislativa primaria (quale è in materia elettorale quella della Regione Siciliana) rispetto al panorama nazionale della disciplina relativa alle cause di ineleggibilità e di incompatibilità è stata ritenuta ammissibile nella giurisprudenza costituzionale soltanto nelle ipotesi in cui ricorressero “peculiari condizioni locali” congruamente e ragionevolmente apprezzate dal legislatore regionale (corte cost. 25 luglio 1997, n. 276)».

Ma di “tali peculiari condizioni locali”  il giudice non ha trovato traccia. Al contrario, egli ha ritenuto che «la mancata previsione da parte del legislatore regionale della causa di incompatibilità con l’ufficio di deputato regionale di colui il quale sia stato dichiarato in via definitiva contabilmente responsabile per fatti commessi nella qualità di amministratore, ovvero impiegato dell’amministrazione regionale o di enti da essa dipendenti o vigilati e non abbia ancora estinto il relativo debito verrebbe, dunque, a porsi in contrasto anche con l’art. 122 della Costituzione, in quanto la potestà legislativa di natura primaria sarebbe stata esercitata in spregio ad un principio fondamentale dell’ordinamento repubblicano, quale è quello della sostanziale eguaglianza (in assenza di peculiari condizioni che giustifichino una diversa disciplina) del diritto di elettorato passivo».apprendi

Incassato questo primo risultato, i legali di Apprendi dovranno nei prossimi mesi convincere la Consulta. Impresa che non sembra scoraggiarli. «Non bisogna mai cantare vittoria in anticipo sui risultati – frena l’avvocato Leone – ma, oltre alla forza degli argomenti sul tappeto, contiamo sul peso del precedente del 2010 con cui la stessa Corte costituzionale aveva dichiarato l’illegittimità della normativa regionale in un caso molto simile a questo».

Nel frattempo sono in tanti, fra gli onorevoli siciliani, che vedono traballare la propria poltrona e sui giornali cominciano a trapelare alcuni nomi. Giusto ieri, Repubblica si è premurata di pubblicare un elenco dei deputati già colpiti da una condanna da parte della magistratura contabile che, se non provvedono a saldare il proprio debito, sarebbero i primi ad essere colpiti dalla causa di incompatibilità. Peraltro il quotidiano evidenzia che, nonostante le condanne, solo un politico su due risarcisce il danno.

(Amer)

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