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Bambino con sindrome di Down, responsabile il medico che omette prescrizione amniocentesi

La Corte di Cassazione, con la sentenza 243 del 2017, si è recentemente espressa sul caso di una donna che ha dato alla luce un bambino con sindrome di Down, dichiarando responsabile il medico per non aver prescritto l’amniocentesi.

Il ginecologo, a cui la donna si era rivolta durante la gestazione per conoscere le condizioni del feto che portava in grembo, non le aveva prescritto l’amniocentesi. Dunque, la neomamma aveva scoperto che il suo bambino era affetto dalla sindrome di Down solamente dopo il parto. L’operato del medico ha precluso alla paziente la possibilità di conoscere preventivamente le condizioni del feto.

Amniocentesi e bambino con sindrome di Down

Tutte le mamme raccontano quanto il momento del parto sia doloroso ma, allo stesso tempo, speciale. La creatura che per nove mesi ha vissuto dentro il grembo materno viene finalmente alla luce e si presenta al mondo. Grazie ai progressi della scienza, si possono avere numerose informazioni sul futuro nascituro prima ancora che il suo corpicino abbia terminato di formarsi completamente. Tra le anomalie genetiche che è possibile conoscere in precedenza c’è anche la sindrome di Down. I test di screening permettono quindi di conoscere lo stato del feto e la amniocentesi è uno degli esami utilizzati tutt’oggi per diagnosticare la sindrome di Down.

Il caso del bambino con sindrome di Down

Verso la fine del 1999, la signora M aveva scelto il ginecologo LF che l’avrebbe seguita durante la sua gravidanza, la terza in quanto era già madre di altri due figli. Dagli atti emerge che il ginecologo non aveva prescritto alla ricorrente l’amniocentesi. Questo inadempimento del medico avrebbe provocato la mancata possibilità di scelta della ricorrente di decidere se portare avanti o meno la gravidanza. Due mesi dopo, in occasione di ulteriori controlli in un’altra struttura ospedaliera, la donna aveva rifiutato di sottoporsi all’amniocentesi in quanto precedentemente rassicurata dal suo ginecologo sulle regolari condizione della gravidanza.

Anche se dagli atti si evince che la donna in ogni caso non avrebbe abortito, il danno che denuncia la ricorrente è dato dall’effetto “sorpresa” che ebbe nel momento in cui venne a conoscenza delle condizioni del suo bambino. Effetto che le avrebbe causato dei problemi di natura psico-fisica. La donna, infatti, a seguito di quel fatto avrebbe sofferto di una nevrosi ansiosa depressiva.

In conclusione, la Corte di Cassazione accoglie il ricorso proposto dalla M. contro la sentenza n.255/2013 della Corte d’Appello di Catania. La Suprema Corte, dunque, annulla la sentenza impugnata e richiede l’elaborazione di una nuova decisione sulla base di nuovi principi di diritto.

Il danno alla sua salute fisica e mentale dovuto all’effetto sorpresa che la donna lamenta è una conseguenza della “perdita della chance” di conoscere in precedenza lo stato della sua gravidanza. E una parte di questo danno è dovuta all’inadempimento del ginecologo.

Maria Rita Corda

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