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Racket, risarcimento alla vittima del pizzo anche se ha avuto il coraggio di denunciare

Oltre al danno, anche la beffa: nonostante la condanna in via definitiva dei suoi estorsori, nessun risarcimento danni in sede civile era stato riconosciuto ad una donna siciliana, presidente del consiglio di amministrazione di una casa di cura, che aveva avuto il coraggio di citare in giudizio coloro che l’avevano minacciata.

La Corte d’Appello: nessun risarcimento per danni morali a chi ha avuto il coraggio di denunciare

A negarle il risarcimento per danni morali patiti in conseguenza del reato di tentata estorsione aggravata era stata la Corte di Appello di Palermo, ribaltando la sentenza del tribunale, che invece le aveva riconosciuto 58 mila euro. Secondo i giudici la donna non era stata intimorita dalle minacce rivolte nei suoi confronti, in quanto tali minacce “non erano state idonee a determinare una coazione psicologica, tanto che la stessa si era rivolta alle forze dell’ordine ed aveva attivamente collaborato nelle indagini. Tutto ciò escludeva la presenza di un danno morale soggettivo”. In altre parole, visto che la donna aveva avuto il coraggio di denunciare il “pizzo”, non aveva alcun diritto ad un risarcimento danni. La donna ha però deciso di impugnare la sentenza e si è rivolta ai giudici della Suprema Corte, che con l’ordinanza numero 18327 del 2017 hanno ribaltato nuovamente la decisione.

La Cassazione: anche chi non cede al racket ha diritto al risarcimento

estorsioneSecondo la Cassazione il risarcimento del danno morale che la vittima dell’estorsione ha subito va riconosciuto in base al grado e alla capacità di resistenza dell’individuo medio e non conta che la vittima, con un atto di estremo coraggio, abbia denunciato l’accaduto alle forze dell’ordine. Sofferenza e turbamento causati dal tentativo d’estorsione sussistono anche nelle persone “coraggiose”. Il primo errore commesso dalla Corte d’Appello, secondo i giudici di legittimità, “consiste nell’evidente confusione tra il turbamento provocato nella vittima di un episodio di estorsione e la sua capacità di non cedere alla coazione”. Se una persona, dotata di maggiore coraggio, resiste alla minaccia, ciò non vuol dire che il turbamento non ci sia stato. Anzi, proprio il fatto che la donna si sia rivolta alle forze dell’ordine dimostra che la vittima delle minacce abbia cercato protezione per un evento che aveva generato in lei quel turbamento che la Corte d’Appello aveva escluso. Inoltre, in conseguenza a questo episodio, la donna aveva presentato le dimissioni alla casa di cura, il che dimostra “l’esistenza di evidenti ripercussioni della vicenda anche sul piano strettamente personale”.

La Cassazione, dunque, fissa il principio secondo cui il danno morale, inteso come sofferenza conseguente al fatto estorsivo, non può essere ritenuto o meno esistente a seconda della maggiore o minore forza d’animo della vittima, poiché ciò equivarrebbe ad affermare che l’ordinamento tutela in misura diversa la persona a seconda del grado di resistenza che la stessa possiede in presenza di una minaccia, determinando un effetto paradossale in danno dei soggetti più coraggiosi. Per questi motivi la Cassazione ha accolto il ricorso e ha annullato la sentenza, rinviando il giudizio alla stessa Corte d’appello di Palermo, in diversa composizione, affinché decida l’appello attenendosi a questo principio di diritto:

In materia di conseguenze dannose di un illecito penale (nella specie, episodio di estorsione), il diritto al risarcimento del danno morale consistente nel turbamento e nella sofferenza patiti dalla vittima sussiste e va riconosciuto in rapporto al grado e alla capacità di resistenza che ci si può attendere da un soggetto medio, non assumendo rilievo la circostanza per cui, in considerazione del particolare coraggio della vittima, il fatto non le abbia impedito di denunciare l’accaduto alle forze dell’ordine.

di Eliseo Davì

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