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Responsabilità medica? Scatta se manca il consenso informato

Responsabilità medica e rapporto con il paziente

Quando un individuo ha bisogno di rivolgersi a un medico per un trattamento sanitario non sceglie lasciandosi orientare dal caso. Si presuppone, infatti, un rapporto di fiducia tra il paziente e il professionista. Questo legame non si ferma alla fase della diagnosi ma si estende anche all’eventuale trattamento sanitario da dover svolgere. Il professionista, dopo aver offerto i chiarimenti necessari e ricevuto il consenso del paziente, si assume la responsabilità medica dell’intervento.

Cosa succede, però, se questo consenso non è ben chiaro? Il Tribunale di Caltanissetta, sulla questione, ha espresso una sentenza molto chiara. Il paziente, a prescindere dall’esito dell’operazione, ha subito una violazione di un suo diritto e va risarcito.

consenso informato responsabilità medica

Legge sul consenso informato. A cosa serve?

Il paziente non può accettare verbalmente di sottoporsi all’intervento ma deve sottoscrivere un’autorizzazione a procedere.  Si tratta del modulo del consenso informato. Nel foglio sono incluse informazioni relative alla modalità di svolgimento del trattamento e i rischi potenzialmente realizzabili. Un passaggio inevitabile che tutela sia il paziente sia il medico curante.

Il “servizio” reso nella struttura sanitaria all’individuo, in realtà, deve essere considerato come un’attività negoziale tra due soggetti. In quanto tale la relazione deve essere regolata da norme giuridiche che, in caso di violazione, danno luogo a sanzioni.

Il consenso informato va considerato come un documento sul quale è riportata una dichiarazione liberatoria nel quale il paziente attesta di essere stato avvertito del trattamento e delle conseguenze. La responsabilità contrattuale tra medico o ente sanitario e paziente è regolata, tra gli altri, dall’articolo 1377 del codice civile.  <<Nel contratto di prestazione d’opera intellettuale tra il chirurgo ed il paziente, il professionista, anche quando l’oggetto della sua prestazione sia solo di mezzi, e non di risultato, ha il dovere di informare il paziente sulla natura dell’intervento, sulla portata ed estensione dei suoi risultati e sulle possibilità e probabilità dei risultati conseguibili, sia perché violerebbe, in mancanza, il dovere di comportarsi secondo buona fede nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto>>.

Il caso. A chi addossare la responsabilità medica?

La questione sulla chiarezza del consenso informato è stata sollevata da una donna che accusava conseguenze post operatorie.

La donna ha accusato la struttura di non averla adeguatamente informata sulle possibili conseguenze permanenti. Un’omissione che non le ha permesso di valutare con adeguatezza le sue condizioni di salute e di decidere con obiettività.

La Corte ha escluso la responsabilità dei medici curanti che effettivamente hanno svolto sia l’intervento sia l’anestesia. La colpa, in questo caso, si è riversata proprio sul consenso informato modulo considerato, in questo frangente, poco chiaro. Un danno biologico non patrimoniale dettato, come si legge nella sentenza del Tribunale di Caltanissetta, <<dall’inosservanza del dovere di informazione cui ogni operatore sanitario è tenuto in materia di trattamenti terapeutici chirurgici circa i rischi specifici dell’eseguendo intervento e, …, nell’aver sottoposto l’attore, senza adeguata informazione, ad un trattamento chirurgico non necessario e comunque, per quanto routinario, imperitamente e negligentemente eseguito>>.

Le conseguenze risarcitorie e l’esito dell’operazione

Il giudice ha riconosciuto il diritto violato della paziente e le ha concesso il risarcimento del danno. Nel dibattimento, e per l’elaborazione della sentenza, non è stato ritenuto pertinente l’esito dell’operazione. La donna, infatti, è stata danneggiata prima di entrare nella sala operatoria.

Il nesso causale tra il danno subito e la condotta negligente, dunque, è da legare al foglio del consenso informato.

A incidere sulla quantificazione del risarcimento patrimoniale del danno il giudice ha tenuto in considerazione anche il danno biologico permanente che ha in parte generato << menomazioni all’integrità psicofisica riportate in conseguenza dell’intervento>> subito dalla paziente. Una lesione che, accertata a posteriori, ha inciso anche sulla <<capacità lavorativa generica dell’attore>>.

Come previsto dalla precedente sentenza n. 3290 della Corte di Cassazione, del resto, per riconoscere tale danno patrimoniale è indispensabile dimostrare << la concreta dimostrazione che la riduzione della capacità lavorativa si sia tradotta in un effettivo pregiudizio economico>>.

Come previsto dalla precedente sentenza n. 3290 della Cassazione, del resto, è indispensabile ricondurre il danno alla responsabilità medica civile. In sintesi << la concreta dimostrazione che la riduzione della capacità lavorativa si sia tradotta in un effettivo pregiudizio economico>>.

Marcella Sardo

 

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