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Uccisa dal marito in tribunale, lo Stato deve risarcire

I palazzi di giustizia sono luoghi caratterizzati per natura da una conflittualità che può essere anche molto accesa. Il cittadino che si reca in tribunale per la difesa di un proprio diritto deve poterlo fare nella piena tranquillità della sua sicurezza ed incolumità personale.

Uccisa dal marito in tribunale: il caso

Nel 2002 al Tribunale di Varese, durante l’udienza per il giudizio di divorzio tra due coniugi, il marito sparò diversi colpi di pistola uccidendo la moglie. L’uomo era riuscito ad introdurre l’arma in Tribunale perché il metal detector era fuori uso nel giorno dell’omicidio ed era stato sostituito da un servizio di controllo tramite guardie giurate che, però, era anch’esso non funzionante. L’uomo venne condannato per omicidio volontario. Successivamente i familiari della vittima convennero in giudizio il Ministero della Giustizia, chiedendo che fosse condannato al risarcimento di tutti i danni da loro patiti in conseguenza dell’omicidio. Sia il Tribunale che la Corte d’appello condannarono il Ministero.

Uccisa dal marito in tribunale: le motivazioni della Corte d’appello

Ha osservato la Corte d’appello di Milano che la responsabilità del Ministero della giustizia derivava dal d.m. 28 ottobre 1993, che pone a carico del Procuratore generale della Corte l’onere di adottare i provvedimenti necessari ad assicurare la sicurezza interna delle strutture in cui si svolge l’attività giudiziaria. Tale disposizione, benché di carattere non legislativo ma regolamentare, doveva essere considerata idonea a fondare un vero e proprio obbligo giuridico di garantire la sicurezza non dei soli magistrati che lavorano nell’ufficio. Anche il Governo, nel corso di un dibattito tenutosi alla Camera dei deputati il 26 ottobre 2007, a seguito di un analogo fatto di sangue verificatosi nel Tribunale di Reggio Emilia, ha confermato che grava sul Procuratore generale tale obbligo di tutela e protezione. Nel caso in questione, dato che il metal detector era fuori uso, la Corte d’appello ha ritenuto pacifico che, se fosse stato funzionante, avrebbe impedito all’omicida l’uso dell’arma.

Uccisa dal marito in tribunale: il ricorso del Ministero della Giustizia

Contro la sentenza della Corte d’appello di Milano ha proposto ricorso per cassazione il Ministero della Giustizia. Il Ministero ha motivato affermando gli obblighi di sicurezza previsti dalle norme a carico del Procuratore generale della Corte d’appello non interessino la sicurezza di tutti i soggetti che si trovano anche per caso all’interno dei palazzi di giustizia. Si tratterebbe, invece, di disposizioni dettate per garantire la sicurezza dei magistrati, in particolare quelli esposti a specifici rischi in funzione dell’attività da loro espletate. Il Ministero ricorrente ha, inoltre, sostenuto che nel nostro ordinamento la responsabilità da comportamento omissivo ha carattere eccezionale e può nascere solo in presenza di un preciso obbligo di attivarsi per impedire l’evento. Nella specie, non vi sarebbe alcuna norma che sancisca, a carico del Ministero della giustizia, un obbligo giuridico di predisporre specifiche misure di sicurezza all’interno dei palazzi di giustizia.

Uccisa dal marito in tribunale: la Cassazione condanna lo Stato

La Corte di Cassazione, con sentenza della terza sezione civile n. 16508/2017, ha condannato il Ministero della Giustizia a risarcire i danni ai familiari della vittima. I giudici della Cassazione hanno confermato la decisione della Corte d’appello, infatti spetta al procuratore generale presso la Corte d’appello il potere-dovere di «adottare i provvedimenti necessari ad assicurare la sicurezza interna delle strutture» in cui si svolge l’attività giudiziaria. “Tale previsione va intesa come comprensiva della sicurezza e dell’incolumità di tutti coloro che si trovino, anche occasionalmente, all’interno di simili strutture. Non va dimenticato che i palazzi di giustizia sono luoghi dove tutti i cittadini hanno la facoltà di recarsi per l’esercizio e la tutela del proprio diritto di difesa, che è garantito dall’art. 24 della Costituzione”. Di conseguenza è posto a carico del procuratore generale della Corte d’appello l’obbligo di garantire la sicurezza interna di tutti i soggetti a qualunque titolo presenti all’interno dei palazzi di giustizia. Per quanto riguarda la responsabilità omissiva, la Corte di Cassazione ha precisato che se il metal detector avesse funzionato, il fatto non sarebbe successo. Ed è evidente, d’altra parte, che nessun rilievo può avere la circostanza che l’omicidio fosse frutto di una premeditazione. L’omicidio è avvenuto in Tribunale e la presenza del previsto strumento di protezione sarebbe stata sufficiente ad impedirlo.

Livia Carnevale

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