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Affittare in nero a clandestini? Può configurarsi reato

Affittare in nero a clandestini? Può configurarsi reato

“Affinché vi sia ingiusto profitto ai sensi dell’art. 12, co. 5 bis D.lgs. 286/1998 è sufficiente che l’illegalità della condizione irregolare della persona straniera abbia reso possibile o anche solo agevolato la conclusione del contratto a condizioni oggettivamente più vantaggiose per la parte più forte” (Cassazione n. 32391/2017).

Se è vero che ad oggi i contratti di locazione ad uso abitativo risultano ormai un momento di piena manifestazione dell’accordo di due o più parti per i reciproci interessi, occorre però avvertire che la scelta del contraente  può risultare altamente rischiosa se quest’ultimo risulta sprovvisto di un regolare permesso di soggiorno.

E’ quanto accaduto al proprietario di un immobile il quale, dopo aver concesso in locazione il proprio locale a soggetti sprovvisti di regolare permesso di soggiorno, veniva condannato prima e assolto poi in appello per il reato di cui all’art. 12, co. 5 bis D.lgs. 286/1998 (T.U. sulla disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero).

Tale norma, in particolare,  punisce con pena da 6 mesi a 3 anni “chiunque a titolo oneroso, al fine di trarre ingiusto profitto, dà alloggio ovvero cede, anche in locazione, un immobile ad uno straniero che sia privo di titolo di soggiorno al momento della stipula o del rinnovo del contratto di locazione”. Per di più, in tale ipotesi, è altresì prevista la confisca dell’immobile.

Dall’istruttoria dibattimentale di primo grado era emerso che il proprietario dell’immobile aveva stipulato  contratti di locazione con persona in condizione regolare sul territorio ma diversa dall’effettivo utilizzatore (soggetto sprovvisto del permesso di soggiorno). Peraltro, tale locazione veniva stipulata a fronte di un canone locatizio superiore  rispetto a quello risultante dalla stipula. Ne discendeva, per il Tribunale, che il titolare dell’immobile avesse approfittato della irregolare condizione dell’immigrato procurandosi un ingiusto profitto dettato dallo sfruttamento della clandestinità dell’immigrato e per tali ragioni lo condannava alla pena di mesi sei di reclusione con confisca dell’immobile.

Situazione, questa, che veniva successivamente ribaltata in appello; giudizio nel quale quest’ultimo veniva assolto dal reato suddetto per assenza di prova dell’elemento del dolo specifico richiesto dalla norma in ordine all’ottenimento dell’ingiusto profitto. Secondo i giudici di secondo grado, infatti, l’importo del  canone effettivamente corrisposto ben poteva ritenersi equo (e dunque non esorbitante) atteso che risultava comprensivo delle ulteriori spese. Rilevava, infine, che la sottoscrizione dei contratti  avrebbe consentito azioni legali a tutela delle parti. Pronunciava, dunque, sentenza di assoluzione perché il fatto non costituisce reato.

Promosso ricorso per cassazione dal Procuratore Generale presso la Corte d’Appello, la questione finiva quindi sui banchi della Suprema Corte la quale, discostandosi nettamente dalle argomentazioni della decisione emessa in  appello, annullava la sentenza dei  giudici di secondo grado rivalorizzando la decisione emanata in primo grado.

La  Cassazione, in piena aderenza con la tesi accusatoria, sottolinea che non è necessario ai fini dell’integrazione del predetto reato che l’ingiusto profitto derivi dallo sfruttamento della condizione di irregolarità delle persone straniere, bastando invece che tale illegalità  di condizione “abbia reso possibile o abbia anche solo agevolato la conclusione di un contratto a condizioni oggettivamente più vantaggiose per la parte più forte, condizioni che non necessariamente si devono tradurre in un sinallagma eccessivamente gravoso per il soggetto clandestino”.

A titolo esemplificativo, la Corte infatti indica che ben può aversi ingiusto profitto anche nel caso di un canone di locazione preteso in “nero” nel quale l’ingiusto profitto è rappresentato dalla sola possibilità  di evadere le tasse, circostanza resa più agevole dalla condizione di illegalità dello straniero il quale non avrebbe potuto vantare alcunché nelle sedi giudiziarie.

In conclusione, secondo la Suprema Corte, la non registrazione dei contratti, l’utilizzazione di soggetti di comodo per la stipula, il canone eccessivo nonché l’impossibilità di agire in giudizio per la difesa dei diritti di conduttore sono tutti elementi che permettono di ritenere “ingiusto” il profitto ottenuto dal proprietario dell’immobile.

E per tali motivi, disponeva l’annullamento con rinvio la sentenza impugnata per un  nuovo giudizio.

Antonio Colantoni

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