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Benessere psicologico degli animali: ipotesi di maltrattamento

Se gli animali godono di buona salute ma è evidente la mancanza del loro benessere psicologico, il proprietario risponde di maltrattamento.

Già in precedenti articoli abbiamo avuto modo di notare che la Corte di Cassazione, con un orientamento pressoché maggioritario, ha riconosciuto la presenza del reato di maltrattamento degli animali anche nell’ipotesi di carenza di benessere psicologico dell’animale stesso. Non è più sufficiente, quindi, che l’animale gode di ottima salute, è necessario dimostrare che anche dal punto di vista psicologico vi è una situazione di benessere.

cavalli-campo IL CASO. Il caso che ha investito i giudici ha visto protagonisti due uomini indagati per aver maltrattato alcuni cavalli di loro proprietà. In particolare, dalle indagini condotte risultava che gli animali erano tenuti in condizioni non compatibili con la loro natura e ciò era fonte di malessere e di stress per loto. A fronte di ciò, il GIP di Latina aveva disposto il sequestro preventivo sugli animali: provvedimento confermato, poi, anche in sede di riesame.

Gli indagati hanno proposto ricorso in Cassazione avverso il sequestro adducendo due diversi motivi. In primo luogo gli indagati hanno segnalato che l’ordinanza non ha tenuto conto degli accertamenti condotti dai veterinari che avevano visitato gli animali: i medici, infatti, avevano documentato il buon stato di salute dei cavalli dovuto al sostentamento  alle cure assicurate quotidianamente. Secondariamente, lamentavano la violazione dell’art. 321 c.p.c. in sede di riesame poiché i Giudici avevano errato nel ritenere sussistente il pericolo di reiterazione del reato dal momento in cui gli indagati si erano resi disponibili a ricoverare gli animali in idonea struttura.

Per i Giudici, tuttavia, i motivi addotti non sono stati ritenuti fondati. Secondo gli Ermellini, infatti, il primo motivo del ricorso è stato ritenuto manifestamente inammissibile poiché gli indagati in sede di riesame non avevano contestato le immagini contenute sui CD che riportavano le condizioni di vita in cui vivevano gli animali; il secondo motivo del ricorso, invece, è stato ritenuto inammissibile perché ancora presente il fumus.

La sentenza n. 34192/2017, confermando il precedente iter inaugurato dalla Cassazione, ha previsto che “il reato in questione sia integrato dalla condotta, anche occasionale e non riferibile al proprietario, di detenzione degli animali con modalità tali da arrecare agli stessi gravi sofferenze, incompatibili con la loro natura, avuto riguardo, per le specie più note (quali, ad esempio, gli animali domestici), al patrimonio di comune esperienza e conoscenza e, per le altre, alle acquisizioni delle scienze naturali. Dunque, ai fini dell’integrazione del reato in esame non è necessario che l’animale riporti alcuna lesione all’integrità fisica, potendo la sofferenza consistere anche soltanto in meri patimenti ovvero in situazioni che incidono sulla sensibilità psico-fisica dell’animale, procurandogli dolore e afflizione, la cui inflizione sia non necessaria in rapporto alle esigenze della custodia e dell’allevamento dello stesso“.

Alla luce di ciò, del tutto inutili sono state le documentazioni rilasciate dai veterinari: può succedere, infatti, che un animale sia fisicamente perfetto e goda di ottima salute ma non veda garantito il proprio benessere psicologico. Nel caso di specie, in particolare, anche il Tribunale del riesame aveva osservato l’esistenza di una “situazione gravemente incidente sulla sensibilità psico-fisica degli animali proprio con le peculiari modalità del ricovero, ovvero senz’acqua né cibo, in recinti pieni delle loro deiezioni, che non erano state rimosse da giorni“. Pertanto, i ricorsi sono stati rigettati ed è stata confermata la condanna a carico degli indagati.

a cura di Rosa d’Aniello 

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