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Chat whatsapp: prova valida se si acquisisce il telefonino

L’avvento delle nuove tecnologie ha finito inevitabilmente con l’incidere sul processo penale, anche “estendendo” l’insieme delle prove che si possono produrre. Con la sentenza n°49016/17 la Cassazione ha fissato i paletti circa l’utilizzabilità delle conversazioni su WhatsApp.

Si vuole puntare sulla chat WhatsApp come prova? Non basta più produrre la sola “copia” delle conversazioni. E’ quanto si deduce dalla recente sentenza della Cassazione n° 49016/17.

La vicenda

Sia in primo che in secondo grado -rispettivamente dal GUP del Tribunale di Gela e dalla Corte d’Appello di Caltanissetta- viene ribadita la condanna di un uomo, ritenuto responsabile di stalking nei confronti dell’ex fidanzata minorenne. Nel ricorso per Cassazione si denuncia una specifica violazione di legge: la decisione, ritenuta errata, (ma motivata dalla mancata acquisizione del telefonino) di non far acquisire agli atti le trascrizioni di alcune conversazioni avvenute tra i due ex partner su WhatsApp le quali, testimoniando la persistenza di rapporti affettuosi nonostante la denuncia, avrebbero chiaramente dimostrato la poca credibilità della denunciante stessa (che invece aveva ribadito la fine del loro rapporto).

La decisione: è necessario “l’esame diretto” del telefonino

La Quinta Sezione Penale della Corte di Cassazione con sentenza 49016/17, rigetta il ricorso, dando luogo ad alcune precisazioni importanti circa l’utilizzabilità della conversazione su WhatsApp. Tale utilizzabilità viene ammessa in astratto: si tratta a tutti gli effetti di una prova documentale, o meglio di “…una forma di memorizzazione di un fatto storico, della quale certamente si può disporre legittimamente ai fini probatori”. Ma per la Suprema Corte in concreto è necessaria la ricorrenza di un’ulteriore condizione. Precisamente, “…l’utilizzabilità è condizionata dall’acquisizione del supporto- telematico o figurativo- contenente la menzionata registrazione- stabilisce la sentenza 49016– svolgendo la relativa trascrizione una funzione meramente del contenuto della prova documentale”.

L’acquisizione del telefonino ha una sua ragione precisa: “…occorre controllare l’affidabilità della prova medesima mediante l’esame diretto del supporto- si legge ancora nella sentenza– onde verificare con certezza sia la paternità delle registrazioni sia l’attendibilità di quanto da esse documentato”.

Una svolta giurisprudenziale?

Sicuramente tale pronuncia simboleggia l’intenzione di garantire un maggior controllo in ordine a prove che, seppur tecnologiche, possono prestarsi ad alterazioni, tenendo conto tra l’altro di un contesto- quello processualpenalistico- dove “…è consentita l’acquisizione di scritti o di altri documenti che rappresentano fatti, persone o cose mediante la fotografia, la cinematografia, la fonografia o qualunque altro mezzo” (art. 234 c.p.p.) e dove è riconosciuta espressamente l’ammissibilità di prove non disciplinate dalla legge (art. 189 c.p.p.).

Antonio Cimminiello

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