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Commenti diffamatori su Internet: la “nuova” responsabilità dei gestori dei siti

Nel sempre più controverso rapporto tra libertà di opinione e tutela della dignità la Corte di Cassazione, con la sentenza n° 54496/2016, assume un’importante presa di posizione. In breve, da ora in poi, chi gestisce un sito Internet sarà responsabile in ordine ai commenti diffamatori eventualmente lasciati dagli utenti.

Cade “l’aurea” di irresponsabilità tradizionalmente riconosciuta ai gestori di siti web in relazione a commenti penalmente rilevanti lasciati dagli utenti. Di fronte al dilagare dei reati commessi mediante la Rete attraverso la distorsione della libertà d’espressione, sancendo tale principio di diritto, la sentenza 54496 del 2016 è destinata a rideterminare gli obblighi al cui rispetto è tenuto chiunque diriga e gestisca spazi web.

Il caso

La Quinta Sezione Penale della Corte di Cassazione conferma quanto statuito in secondo grado in riforma di una sentenza, emessa dal Tribunale di Bergamo nel 2014, con la quale in primo grado il legale rappresentante di una società deputata alla gestione del sito internet “agenziacalcio.it”, era stato assolto dal reato di concorso in diffamazione. Il “casus belli” precisamente era rappresentato dalla pubblicazione sul sito medesimo, nel 2009, di un commento da parte di un utente con cui si definiva il presidente della Lega Nazionale Dilettanti della Federazione Italiana Gioco Calcio Carlo Tavecchio «pregiudicato doc» ed «emerito farabutto», oltre ad allegare il suo certificato penale.

Nel confermare tale valutazione, la Corte si sofferma su alcuni aspetti della vicenda. Nello specifico, oltre alla pubblicazione del commento in via del tutto autonoma da parte dell’utente, quest’ultimo aveva provveduto prima del sequestro preventivo del sito anche all’invio, sulla casella di posta elettronica dell’imputato stesso, di una email con allegato il certificato penale di Carlo Tavecchio. Ciò dimostra senza dubbio che l’imputato ha finito col mantenere “…consapevolmente l’articolo sul sito, consentendo che lo stesso esercitasse l’efficacia diffamatoria”.

A nulla rileverebbe inoltre la circostanza per cui l’imputato non avrebbe potuto svolgere un controllo opportuno essendo in quel periodo in ferie, visto che non è stato adeguatamente dimostrato “… se tale circostanza avesse impedito allo stesso anche di visionare la corrispondenza elettronica e prendere conoscenza del contenuto della missiva” inviata dall’utente e prima ricordata. In sostanza, l’imputato si è sottratto così ad un vero e proprio dovere, connesso alla  propria posizione.

Una nuova forma di responsabilità

Per quali ragioni la sentenza in commento assume una portata rivoluzionaria? Con essa si abbandona un consolidato indirizzo giurisprudenziale in ordine alla possibile responsabilità penale di figure apicali nell’ambito di uno spazio web. Per ruoli sempre più diffusi, quali direttori di testate web e service providers, infatti, era sempre stata esclusa l’esistenza di un obbligo di controllo preventivo sull’operato degli utenti, così come era stata esclusa per taluni di essi l’operatività di norme, come ad esempio l’art. 57 del Codice Penale, che sembra riconoscere una sorta di responsabilità “da posizione” in capo al direttore di giornale per il fatto commesso dal proprio sottoposto. Le principali ragioni si annidavano sia nell’impossibilità di equiparazione con i tradizionali mezzi di comunicazione di massa , sia per l’impossibilità materiale di esigere da costoro condotte di vigilanza e controllo diretti (le caratteristiche della Rete non lo rendono infatti possibile).

In realtà tale orientamento aveva già subito una prima battuta d’arresto nel 2016, a seguito della dolorosa vicenda di Tiziana Cantone, suicidatasi proprio per la diffusione incontrollata di alcuni suoi video hot che le aveva causato profonda vergogna e denigrazione. Secondo quanto affermato in quell’occasione dal Tribunale Civile di Napoli Nord infatti, una volta constatata l’illiceità di taluni contenuti, i soggetti preposti alla gestione di uno spazio web sono obbligati alla loro immediata rimozione a semplice richiesta del soggetto interessato, senza dover attendere un ordine ad hoc da parte della competente autorità giudiziaria o amministrativa.

Antonio Cimminiello

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