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Conversazioni su whatsapp: qual è la rilevanza probatoria?

 

La semplice trascrizione dei messaggi scambiati su WhatsApp non ha valore probatorio e, diversamente dalle registrazioni foniche che, in linea con quanto disposto dal Codice di procedura penale, costituiscono prova documentale, non può essere considerata affidabile. A meno che non si fornisca anche il supporto contenente il messaggio (nella maggior parte dei casi il telefono cellulare), per verificarne paternità e attendibilità. E’quanto ha stabilito la Corte di Cassazione nella sentenza n.49016/2017 che ha analizzato con particolare attenzione una problematica molto attuale, quale il valore probatorio delle conversazioni svoltesi sul canale telematico whatsapp che, come è noto, oggi è molto utilizzato e diventerà quanto prima un elemento di sicura rilevanza nel corso di indagini giudiziarie.

La storia

Nel caso di specie l’imputato, condannato nei primi due gradi di giudizio, del delitto di atti persecutori (stalking), commesso in danno della propria fidanzata, lamentava tra le motivazioni del ricorso presentato dinanzi alla Suprema Corte la mancata acquisizione da parte della Corte di Appello della trascrizione delle conversazioni svoltesi sulla famosa applicazione di messaggistica nata in America, che avrebbero dimostrato la prosecuzione dei rapporti con la propria fidanzata e quindi l’inattendibilità della persona offesa, che aveva sostenuto che la relazione con l’imputato si era interrotta. Ma tale deduzione difensiva si è scontrata con l’imprevista impossibilità di acquisire agli atti del processo la trascrizione delle conversazioni affettuose scambiate tra i due ex innamorati.

La decisione della Corte di Cassazione

Una scelta questa, operata nel secondo grado di giudizio, che la Corte di legittimità ha definito “ineccepibile”, non ritenendo fondata la lamentela di non acquisire la trascrizione delle conversazioni svoltesi sul canale informatico tra l’imputato e la parte offesa in quanto pur riconoscendo che la registrazione di tali conversazioni, operata da uno degli interlocutori, costituisca una forma di memorizzazione di un fatto storico, della quale si può certamente disporre legittimamente ai fini probatori, trattandosi di una prova documentale, (atteso che l’art. 234 c.p.p., comma 1, prevede espressamente la possibilità di acquisire documenti che rappresentano fatti, persone o cose mediante la fotografia, la cinematografia, la fonografia o qualsiasi altro mezzo) l’utilizzabilità della stessa è, tuttavia, condizionata dall’acquisizione del supporto telematico o figurativo contenente la menzionata registrazione, svolgendo la relativa trascrizione, una funzione meramente riproduttiva del contenuto della principale prova documentale.
Diventa fondamentale, difatti, secondo i giudici “controllare l’affidabilità della prova medesima mediante l’esame diretto del supporto onde verificare con certezza sia la paternità delle registrazioni sia l’attendibilità di quanto da esse documentato”.
Sta in questa precisa linea di confine la differenza con la fotografia, la cinematografia, la fotografia annoverati dall’articolo 234 del Codice di procedura penale tra quei «documenti di cui si possa disporre direttamente fini probatori», in quanto ascrivibili legittimamente alla categoria delle prove documentali.
Pertanto, la Suprema Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Mariano Fergola

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