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Omissione del mantenimento per i figli minori da parte dell’ex convivente: non si configura il reato ex art. 3 legge affidamento condiviso

Nell’ipotesi in cui l’omissione del versamento dell’assegno di mantenimento in favore dei figli minori si inserisce nell’ambito della cessazione di una convivenza di fatto non può configurarsi il reato previsto dall’art. 3 della legge sull’affidamento condiviso.

In tema di omessa prestazione dei mezzi di sussistenza nei confronti dei figli, la novella di cui alla legge 8 febbraio 2006 n. 54, in materia di affidamento condiviso dei minori, ha introdotto, al suo art. 3, una modifica della disposizione penale, prevedendo che “in caso di violazione degli obblighi di natura economica si applica l’art. 12-sexiesdella legge 1° dicembre 1970, n. 898, che a sua volta richiama la pena contemplata dall’art. 570 c.p., rubricato “Violazione degli obblighi di assistenza familiare” per il coniuge che si sottrae all’obbligo di corresponsione dell’assegno di mantenimento.

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 2666 del 2017, ha stabilito l’estraneità della fattispecie da ultimo richiamata all’ipotesi in cui l’omesso versamento dell’obbligo di mantenimento dei figli minori si inserisca nell’alveo della rottura di una mera convivenza di fatto.

I presupposti del reato di omesso versamento dell’assegno di mantenimento ex art. 3 l. 54/2006

In particolare, con un’interessante ragionamento, la Corte sottolinea che l’art. 3 della legge sull’affido condiviso va inserito nel più ampio contesto dell’intera disciplina dettata dalla medesima legge, ove invero si legge, all’art. 4, comme 2, che “recita: “Le disposizioni della presente legge si applicano anche in caso di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio, nonché ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati“.

Da qui, secondo i giudici di legittimità, occorre distinguere tra diverse ipotesi: ed invero, da un punto di vista sintattico, le disposizioni della legge n. 54 del 2006 sono indicate come da applicare non “in caso di figli di genitori non coniugati” maai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati“, oltre che, naturalmente, “in caso di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio“.

E allora, mentre nelle ipotesi “classiche” di separazione ovvero di scioglimento o cessazione degli effetti civili o, ancora, di nullità del matrimonio vanno applicate tutte le disposizioni previste dalla legge n. 54 del 2006, nell’ipotesi di tutela dei figli di genitori non coniugati il riferimento espresso della legge  ai “procedimenti relativi” a questi ultimi assolve alla funzione di circoscrivere l’ambito delle disposizioni applicabili a quelle che concernono i procedimenti indicati dalla medesima legge – ovvero quelli civili di cui all’art. 2 – e non anche alle previsioni normative che attengono al diritto penale sostanziale.

Tale interpretazione, specifica in ultimo la Suprema Corte, oltre ad essere attenta al dato testuale delle disposizioni di legge, risponde anche al soddisfacimento del principio del cd. “diritto penale minimo” senza ledere la posizione sostanziale dei figli di genitori non coniugati, per la cui tutela è possibile il ricorso, oltre alle azioni civili, alla fattispecie prevista dall’art. 570, secondo comma, c.p.

Pertanto, in forza del ragionamento effettuato, nel caso in esame portato all’attenzione della Corte, rivestendo il ricorrente il ruolo di ex convivente, da collocarsi quindi al di fuori delle ipotesi di applicabilità della norma richiamata dall’art. 3 della legge sull’affidamento condiviso, la sentenza impugnata è stata annullata in quanto il fatto non è previsto dalla legge come reato.

Si precisa, in ultimo, che la stessa Corte ha puntualizzato come non può in tal sede procedersi alla riqualificazione della fattispecie di reato a norma della più grave ipotesi prevista dal comma 2, n. 2, dell’art. 570 c.p.

Virginia Dentici

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