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Riforma delle impugnazioni penali: in vigore dal 6 marzo 2018

Dal 6 marzo 2018 la riforma Orlando troverà piena attuazione con l’entrata in vigore della nuova normativa processuale sulle impugnazioni penali, finalizzata a modificare e circoscrivere i poteri di impugnazione dell’imputato e del pm,in una generale finalità di riduzione dei giudizi di appello.

La riforma delle impugnazioni penali è contenuta nel Decreto Legislativo del 6 febbraio 2018 n. 11, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 19 febbraio 2018, recante “disposizioni di modifica della disciplina in materia di giudizi di impugnazione” approvato dal Consiglio dei Ministri in data 19 gennaio 2018, in attuazione della delega di cui alla riforma Orlando (Legge 103/2017), che entrerà in vigore dal 6 marzo 2018.

La riforma delle impugnazioni penali: i limiti ai poteri del PM

Lo scopo della riforma delle impugnazioni penali è quello di limitare l’instaurazione di giudizi di appello, limitando i poteri di impugnazione delle parti attraverso la valorizzazione del rispettivo ruolo processuale e dei rispettivi interessi ad impugnare. Tale riforma va dunque a circoscrivere il potere d’impugnazione del PM (e dell’imputato)nei limiti in cui “le pretese delle parti, legate all’esercizio dell’azione penale per il pubblico ministero e al diritto di difesa per l’imputato, risultino soddisfatte”.

Nella generale finalità perseguita dalla riforma, viene anzitutto circoscritto il potere del PM di proporre impugnazione. L’art. 1 del D.Lgs. 11/2018 modifica l’art. 568 del codice di procedura penale inserendo il nuovo comma 4-bis che prevede “Il Pubblico Ministero propone impugnazione diretta a conseguire effetti favorevoli all’imputato solo con ricorso per Cassazione”.

Nella stessa ottica, l’art. 2 del decreto modifica l’art. 593 c.p.p. limitando i poteri di appello del pubblico ministero, prevedendo che “Salvo quanto previsto dagli articoli 443, comma 3, 448, comma 2, 579 e 680, l’imputato può appellare contro le sentenze di condanna, mentre il pubblico ministero può appellare contro le medesime sentenze solo quando modificano il titolo del reato o escludono la sussistenza di una circostanza aggravante ad effetto speciale o stabiliscono una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato”.

Dunque, il PM può proporre appello avverso (tutte) le sentenze di proscioglimento e assoluzione ma potrà impugnare le sentenze di condanna solo entro determinati limiti fissati  dalla legge, ovvero l’appellabilità delle stesse è limitata ai casi in cui le medesime modifichino il titolo del reato o escludano la sussistenza di una circostanza aggravante ad effetto speciale o stabiliscano una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato.

La ratio della inappellabilità è quella per cui le pretese del PM e sue richieste di condanna sono state soddisfatte, non sussistendo un interesse all’impugnazione, con una disciplina analoga a quella dettata in materia di giudizio abbreviato.

La riforma del 2018 delle impugnazioni penali, introduce poi il nuovo art. 593-bis c.p.p. al fine di risolvere i problemi relativi alla possibile sovrapposizione degli uffici accusatori (Procuratore della repubblica e Procuratore Generale). Viene infatti previsto che “Nei casi consentiti, contro le sentenze del Giudice per le indagini preliminari, della Corte d’Assise e del Tribunale può appellare il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale. Il Procuratore Generale presso la Corte d’Appello può appellare soltanto nei casi di avocazione o qualora il procuratore della Repubblica abbia prestato acquiescenza al provvedimento”.

La riforma delle impugnazioni penali: i limiti ai poteri dell’imputato

Quanto ai poteri di impugnazione dell’imputato, la nuova formulazione dell’art. 593 c.p.p. consente allo stesso di proporre appello contro le sentenze di condanna mentre viene limitato il potere di appello contro le sentenze di proscioglimento, affermando che “L’imputato può appellare contro le sentenze di proscioglimento emesse al termine del dibattimento, salvo che si tratti di sentenze di assoluzione perché il fatto non sussiste o perché l’imputato non lo ha commesso”. Viene dunque esclusa la possibilità per l’imputato di appellare sentenze di assoluzione pronunciate con la più ampia formula liberatoria.

Nella stessa ottica di deflazione dei giudizi di appello, i nuovi art. 593 e 428 c.p.p.prevedono l’inappellabilità per entrambe le parti (PM ed imputato) delle sentenze di proscioglimento relative a contravvenzioni punite con la sola pena dell’ammenda o con pena alternativa e le sentenze di non luogo a procedere relative a contravvenzioni punite con la sola pena dell’ammenda o con pena alternativa.

La riforma delle impugnazioni penali: il nuovo appello incidentale

L’art. 4 della riforma modifica l‘art. 595 c.p.p. introducendo “Modifiche alla disciplina in materia di appello incidentale“. Viene statuito che l’imputato che non ha proposto impugnazione può proporre appello incidentale entro quindici giorni da quello in cui ha ricevuto la notificazione ex art. 584 dell’impugnazione presentata dalle altre parti e, nello stesso termine, l’imputato può presentare al giudice, mediante deposito in cancelleria, memorie o richieste scritte.

Dunque, la nuova normativa processuale consente l’appello incidentale solo per l’imputato che non abbia proposto impugnazione, non prevedendosi analoga facoltà per il PM.

La riforma delle impugnazioni penali: limiti al ricorso per Cassazione

L’art. 5 del decreto di riforma introduce “Modifiche alla disciplina sui casi di ricorso per Cassazione” modificando il testo dell’art. 606 c.p.p. con l’introduzione di un nuovo comma 2-bis che prevede che “Contro le sentenze di appello pronunciate per reati di competenza del giudice di pace, il ricorso può essere proposto soltanto per i motivi di cui al comma 1, lettere a), b) e c)”.

Viene dunque limitata la possibilità di proporre ricorso per Cassazione contro le sentenze di appello pronunciate per reati di competenza del giudice di pace, che potrà essere proposto solo per tre motivi, ossia in caso di esercizio da parte del giudice di una potestà riservata dalla legge a organi legislativi o amministrativi ovvero non consentita ai pubblici poteri; per inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche; per inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità, di inutilizzabilità, di inammissibilità o di decadenza.

La riforma delle impugnazioni penali: profili di carattere organizzativo

Infine, il decreto di riforma delle impugnazioni penali introduce, agli art. 6 e 7, modifiche di carattere organizzativo e amministrativo, intervenendo sugli art. 165 e 166 delle disposizioni di attuazione al c.p.p. Viene abrogato l’art. 166 disp. att. relativo alla comunicazione al procuratore generale dell’appello dell’imputato e viene introdotto il nuovo art. 165-bis disp. att. che prevede che, dopo la presentazione dell’impugnazione, il giudice che ha emesso la sentenza trasmetta al giudice dell’impugnazione alcune informazioni essenziali ai fini organizzativi del giudizio di appello.

In conclusione, dunque, la riforma delle impugnazioni penali mira a razionalizzare e circoscrivere i giudizi di appello in un’ottica di deflazione dei giudizi penali e di valorizzazione del ruolo delle parti.

Martina Scarabotta

 

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