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Sezioni Unite, si al concorso tra malversazione art. 316 bis e truffa aggravata.

 

Cassazione, Sezioni Unite, sent. n. 20664/2017: “Il reato di malversazione in danno dello Stato (art. 316 bis cod. pen.) concorre con quello di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche (art. 640 bis cod. pen.)

Ci siamo, finalmente la Corte ha depositato le motivazioni della sentenza a Sezioni unite con la quale ha tentato di far chiarezza sul controverso rapporto tra il reato di malversazione in danno dello stato ex art. 316 bis c.p. e il reato di truffa aggravata ex art. 640 bis c.p.

Una sentenza che allarga il divario tra l’impostazione giurisprudenziale e il pensiero di quella parte della dottrina che tende ad estendere la risoluzione delle problematiche legate al concorso apparente di norme attraverso le figure dell’assorbimento, della consunzione e dell’ante-factum o post- factum non punibile.

Ed è proprio partendo da tale diversità di vedute e dalle ricadute giurisprudenziali che l’accoglimento dell’una o dell’altra teoria ha provocato nel corso degli anni (con non pochi contrasti) che la Suprema Corte di Cassazione a Sezioni Unite con sentenza n. 20664/2017 ha inteso affrontare la tematica del rapporto tra gli artt. 316 bis e 640 bis c.p..

La sentenza delle Sezioni unite

Sebbene nel suo articolato ragionamento la Suprema Corte menzioni comunque l’opinione dottrinale poc’anzi citata, i giudici di legittimità danno inizio alla propria disquisizione evidenziando i due principali orientamenti giurisprudenziali che hanno determinato il contrasto.

L’orientamento maggioritario, partendo dal dato secondo cui le norme in questione tutelano beni giuridici diversi (l’art. 640 bis c.p. volto alla tutela del patrimonio pubblico; l’art. 316 bis c.p. posto a protezione dell’interesse pubblico che l’erogazione intende perseguire) e che le condotte interessate si estrinsecano altresì in momenti cronologicamente differenti, riteneva che i due reati concorressero tra loro.

Un diverso e minoritario orientamento riteneva, invece, la piena sussistenza del concorso “apparente” di norme (rectius la non concorrenza tra i reati), risolvibile sulla scorta del criterio di sussidiarietà, atteso che entrambe le fattispecie incriminatrici sono poste a presidio di un identico bene giuridico. Così inteso il rapporto, il reato di malversazione cederebbe il passo al reato di truffa aggravata.

Orientamenti, questi, che escludono ad ogni modo l’operatività del criterio di specialità di cui all’art. 15 c.p..

Preso atto di ciò e senza troppi giri di parole, le Sezioni Unite, malgrado si discostino in parte dalle “premesse” dell’orientamento maggioritario appena enunciato, giungono ciononostante alla sua medesima conclusione, affermando la tesi del concorso tra gli artt. 316 bis e 640 bis c.p.

In particolare, essi tengono a precisare che la soluzione interpretativa della vicenda in esame deve necessariamente prendere le mosse dall’unico criterio legalmente previsto per la risoluzione del concorso apparente di norme: il criterio  di specialità, apertamente esplicitato all’art. 15 del codice penale, secondo cui “Quando più leggi penali o più disposizioni della medesima legge penale regolano la stessa materia, la legge o la disposizione di legge speciale deroga alla legge o alla disposizione di legge generale, salvo che sia altrimenti stabilito”.

Un criterio ed una soluzione che, pertanto, richiede un confronto degli elementi strutturali delle due fattispecie di reato e la cui applicazione consente di dar voce al divieto di ne bis in idem sostanziale riconosciuto quale diritto fondamentale dall’art. 4 Prot. 7 CEDU, peraltro oggetto di rilevanti pronunce della Corte EDU e della Corte Costituzionale.

Si rimarca, infatti, come sia del “tutto pacifico che gli artifici e raggiri non costituiscono l’unica modalità attraverso la quale possa ottenersi la percezione dei finanziamenti e delle altre forme di provvidenze previste dall’art. 316  bis cod. pen., così come, per contro, la percezione illegittima, non necessariamente sfocia nello storno delle  somme erogate dalla loro finalità che individua l’elemento caratterizzante della disposizione di cui all’art. 640 bis cod. pen.”.

A tale considerazione, le Sezioni unite ne aggiungono di ulteriori che possono elencarsi nei seguenti termini:

– la autonomia delle fattispecie criminose introdotte da leggi distinte;

– la mancata previsione di clausole di riserva che autorizzino un rapporto di valore tra i reati;

– il bene giuridico tutelato dall’art. 640 bis c.p., il quale è ravvisabile non solo nella protezione dell’interesse patrimoniale dello Stato, ma anche nella corretta individuazione del beneficiario.

– la possibilità che l’acquisizione del finanziamento pubblico possa portare un utile al percettore non solo attraverso lo storno delle somme (circostanza caratterizzante l’art. 316 bis c.p.), ma anche mediante una maggiore convenienza economica del credito fornito;

– l’assenza di una chiara forma di acquisizione del finanziamento pubblico nell’art. 316 bis;

– la distanza temporale e fisiologica della consumazione di entrambi i reati.

Tutto ciò – secondo la Suprema Corte – porta all’evidenza l’autonomia dei due reati e l’assenza di un “nesso di interdipendenza necessaria” tra di essi. In altre parole, l’uno non esclude l’altro e la consumazione di questi “presuppone una pianificazione autonoma da parte dell’autore, rientrante nella figura del concorso di reati, che eventualmente possono tra loro essere connessi da unicità ideativa”.

Sulla base delle suesposte considerazioni, la Suprema Corte ha pertanto ipotizzato la verificazione delle tre seguenti situazioni:

1) Il privato ottiene un finanziamento in modo lecito e, successivamente, utilizza la somma per scopi privati: in questo caso risulterebbe integrato il solo reato di cui all’art. 316 bis c.p.

2) Il privato ottiene un finanziamento in modo illecito e, successivamente, destina la somma per gli scopi originariamente pattuiti: in tal caso ad essere integrato è il solo reato di cui all’art. 640 bis c.p.

3) Il privato ottiene un finanziamento in modo illecito e, successivamente, utilizza la somma per scopi privati: in quest’ultimo caso (che rappresenterebbe l’ipotesi più frequente) ci troveremmo di fronte ad un concorso materiale di reati dal momento che il privato, dopo aver compiuto la truffa, con un’autonoma condotta cronologicamente autonoma ed eventuale, realizza la malversazione.

Conclude, infine, negando rilevanza tanto al criterio dell’assorbimento quanto al criterio della sussidiarietà. Nel primo caso “una tale chiave interpretativa trascura l’elemento essenziale dell’istituto del concorso di norme che si fonda sulla comparazione della struttura astratta delle fattispecie, per apprezzare la valutazione implicita di correlazione tra norme ritenuta dal legislatore, non dal loro atteggiarsi concreto”.

Nel secondo caso, invece, nonostante risulti mancante il riconoscimento normativo di tale principio, può ciò non di meno ritenersi escluso sulla scorta dell’alterità delle due norme alla luce delle considerazioni testé esposte.

Pone fine, pertanto, al dibattito in questione affermando che “Il reato di malversazione in danno dello Stato (art. 316 bis cod. pen.) concorre con quello di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche (art. 640 bis cod. pen.)

Antonio Colantoni

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