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Telecamera di sorveglianza installata sul pianerottolo senza consenso: non viola la privacy

Fare installare una telecamera di videosorveglianza sul pianerottolo senza il consenso dei condomini non sarebbe contrario alla privacy e, per questo, non costituirebbe reato. Sembra questo il senso di una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 34151/2017, che ha confermato l’assoluzione di una donna già condannata in primo grado proprio per aver fatto installare sulle scale un dispositivo per la sorveglianza, senza preventivamente informare la coppia di vicini di casa.

La videocamera di sorveglianza violava luoghi di «privata dimora»: la querelle tra primo grado e appello

La videocamera, una di quelle normalmente utilizzate per il controllo visivo degli stabili, era stata installata su un muro del pianerottolo in modo da inquadrare la porta dell’abitazione dell’imputata e parte del restante disimpegno, compresa una porzione delle scale condominiali. Proprio per queste ragioni e perché, a seconda della posizione, la telecamera inquadrava anche l’ingresso dell’abitazione vicina, tanto da costringere i proprietari a tenere aperta l’anta di una finestra che dava sul pianerottolo in modo da oscurarne la visuale, i condomini — a cui non era stato chiesto, come si accennava, neanche il consenso prima dell’installazione— erano ricorsi in Tribunale, ottenendo dal giudice di primo grado la condanna della donna in base a quanto previsto dall’articolo 615 del Codice Penale. Nel caso in questione, infatti, c’era proprio uno strumento di ripresa visiva tramite cui era possibile procurarsi «indebitamente notizie o immagini attinenti alla vita privata», che per di più si svolgevano in uno di quei luoghi classificati da un altro articolo del Codice Penale, il 614, come di «privata dimora».

Al ricorso in appello, invece, il giudice di secondo grado si era espresso diversamente: il pianerottolo condominiale non poteva certo essere considerato tra quei luoghi di «privata dimora» tutelati dal 614 c.p. e, per di più, la videocamera di sorveglianza in questione, per quanto era possibile evincere dal materiale fotografico messo agli atti, inquadrava appena l’ingresso dell’abitazione dell’imputata e una porzione minimale del pianerottolo.

Proprio su queste due motivazioni si appiglia il ricorso in Cassazione della parte civile: la telecamera installata dall’imputata, infatti, era in grado di girare e se nel fascicolo a disposizione dei giudici non ci sono effettivamente inquadrature dell’abitazione della parte civile, sostengono i ricorrenti, è perché si tratta di immagini prese a campione dalla polizia giudiziaria. In secondo luogo, seppure non possa essere considerato a rigore «privata dimora», il pianerottolo condominiale è sicuramente tra quelle «appartenenze» anch’esse tutelate dall’articolo 614 del Codice Penale.

Sul concetto di «privata dimora» e «appartenenze»

Le motivazioni del rigetto del ricorso, e quindi della confermata assoluzione, da parte della Corte Costituzionale, però, sono altrettanto chiare. Da un lato, invocare una lettura alternativa dei fotogrammi a disposizione nel fascicolo presupponeva, infatti, una situazione fattuale diversa da quella ricostruita dai giudici di merito. Dall’altro, considerazione molto più rilevante in tema di privacy, quelle di privata dimora e appartenenze per come previste dall’614 c.p. sono «nozioni che individuano una particolare relazione del soggetto con l’ambiente ove egli svolge la sua vita privata, in modo da sottrarla ad ingerenze esterne indipendentemente dalla sua presenza — scrive la Cassazione— e peraltro, proprio l’oggetto giuridico della tutela presuppone uno spazio fisico sottratto alle interferenze altrui, sia nel senso che altri non possano accedervi senza il consenso del titolare del diritto, sia nel senso che sia destinato a rimanere riservato ciò che avviene in quello spazio.» Nessuno spazio condominiale, allora, può assolvere a questa funzione per sua stessa natura, perché destinato all’uso di un numero indeterminato di soggetti.

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