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Valutazione sulle intercettazioni: il giudice non può essere ricusato

Per quanto possa trattarsi di fatto scontato, i doveri di imparzialità e rispetto della legge devono sempre accompagnare l’attività di un giudice. Ciò si traduce anche nel divieto di “anticipare” indebitamente ogni giudizio di innocenza o colpevolezza. La Cassazione si è occupata proprio di tale aspetto con la sentenza n° 15849/2017.

Il diritto processuale penale offre strumenti in grado di ovviare alle ipotesi in cui venga pregiudicata quella imparzialità e “serenità” di giudizio che sono aspetti essenziali a salvaguardia dell’operato dell’autorità giurisdizionale e del procedimento penale stesso. La Terza Sezione penale della Corte di Cassazione si è soffermata di recente sull’esatta interpretazione da fornirsi in ordine ad alcuni dei presupposti di uno di tali strumenti, e cioè la ricusazione (art. 37 c.p.p.).

Il caso

Nell’ambito di un procedimento penale per un episodio di violenza sessuale, a fronte di una richiesta di autorizzazione alle intercettazioni presentata dalla pubblica accusa, il GIP del Tribunale di Benevento opponeva nel 2015 provvedimento di rigetto. Tale decisione spingeva la persona offesa a chiamare in causa la Corte d’Appello di Napoli, al fine di richiedere ed ottenere la ricusazione del GIP: la Corte partenopea però respingeva la richiesta con ordinanza datata Gennaio 2016.

In virtù di tale esito la persona offesa decideva così di adire la Suprema Corte, impugnando l’ordinanza da sopra citata. Secondo la ricorrente, il provvedimento di rigetto di autorizzazione alle intercettazioni sarebbe stato ab origine viziato dalla violazione di un limite motivazionale: in parole povere, dal contenuto del provvedimento si ricaverebbe agevolmente un convincimento in ordine alla innocenza dell’imputato, in una sorta di “anticipazione” della sentenza di merito, traducendosi pertanto in quella “indebita manifestazione di convincimento sui fatti oggetto di imputazione nell’esercizio delle funzioni” in grado di legittimare la ricusazione ai sensi dell’art. 37 c.1 lett. b) c.p.p. Da censurare pertanto sarebbe la decisione della Corte d’Appello che respinge la richiesta di ricusazione.

L’intervento della Corte: la valutazione dei presupposti per l’intercettazione

La Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione respinge il ricorso, condividendo appieno la valutazione racchiusa nell’ordinanza impugnata. E’ opportuno in primo luogo- secondo il ragionamento ravvisabile dalla sentenza 15849/2017- stabilire quale sia esattamente il limite motivazionale da rispettare nei provvedimenti con i quali si decide sulla richiesta di autorizzazione per intercettazioni.

A tal proposito rileva l’art. 267 c.p.p, ai sensi del quale, se c’è diniego sulla richiesta di autorizzazione all’intercettazione, il giudice deve indicarne i motivi , relativi però ai presupposti dell’intercettazione stessa ovvero all’assoluta indispensabilità delle medesime ai fini della prosecuzione delle indagini preliminari ed esistenza di gravi indizi di reato. Nel provvedimento adottato dal GIP del tribunale sannita ci si è limitati a “… rilevare l’insussistenza di gravi indizi di reato, evidenziando che la versione dei fatti esposti dalla persona offesa appariva in contrasto con quella resa da un testimone presente all’episodio e che ciò rendeva carente l’attendibilità intrinseca ed estrinseca della denunciante, anche a prescindere dall’inutilità investigativa della richiesta, dato dal fatto che le amiche della persona offesa- che avrebbero dovuto essere destinatarie delle intercettazioni- avevano semplicemente avuto notizia della vicenda da quest’ultima e non erano state presenti all’episodio”.

Pertanto, il limite motivazionale ricavabile dall’art. 267 c.p.p. viene pienamente rispettato, mentre al contrario non c’è traccia di un’ indebita manifestazione di convincimento ad opera dell’autorità giudiziaria, la quale si riscontra in caso di “…anticipazione dell’opinione sulla colpevolezza o sull’innocenza dell’imputato, senza che ne esista necessità ai fini della decisione adottata, e, quindi, fuori da ogni collegamento o legame con l’esercizio delle funzioni giurisdizionali inerenti al fatto esaminato”.

Il “bene” dell’imparzialità del giudice

La sentenza esaminata spicca più che altro per il suo aspetto prettamente “interpretativo”, visto che la questione più importante riguardava la possibilità di sussunzione o meno della vicenda concreta nell’ambito applicativo dell’art. 37 c.p.p. Sicuramente, la nozione di “indebita manifestazione di convincimento del magistrato” che in essa si richiama rinvia alla consolidata e risalente interpretazione pretoria che la Corte EDU offre in merito all’aspetto dell’imparzialità oggettiva del giudice ex art. 6 CEDU.

Antonio Cimminiello 

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