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Amministratori e società: sussiste rapporto di lavoro societario e non parasubordinazione

Nel settore del diritto d’impresa e societario si discute da tempo sulla precisa natura del rapporto di lavoro intercorrente fra amministratore di una società e la società stessa. La questione infatti può avere numerose ripercussioni pratiche, fra le quali le conseguenze in materia di stipendi ed emolumenti spettanti agli amministratori ed ai membri dei consigli di amministrazione.

A seconda della relazione intercorrente fra amministratore e società, il rapporto può infatti qualificarsi come lavoro parasubordinato, lavoro autonomo, contratto d’opera professionale, o eventuali ulteriori fattispecie atipiche. La qualificazione giuridica del rapporto di lavoro è quindi fondamentale, in quanto – per il caso che qui interessa – solamente i rapporti di lavoro parasubordinato sono soggetti alla disciplina che limita la pignorabilità dello stipendio nei limiti di un quinto dello stesso, alla luce del combinato disposto del d.p.r. n. 180 del 1950, modificato dalla L. n. 311 del 2004 e dalla L. n. 80 del 2005 ( di conversione del d.l. n. 35 del 2005) e degli artt. 409 n. 3 e 545 c.p.c.

Sul punto si è pronunciata di recente la Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con la sentenza n. 1545/2017, in una causa incentrata su una procedura esecutiva avente ad oggetto la pignorabilità dello stipendio di un consigliere di amministrazione di una società.

Per risolvere la questione, i giudici sono intervenuti a dirimere un contrasto giurisprudenziale ormai decennale in merito al rapporto intercorrente fra amministratore e società in cui lo stesso opera.

La ricostruzione della Corte di Cassazione: dottrina e giurisprudenza sulla parasubordinazione

Le Sezioni Unite ripercorrono il dibattito creatosi in materia partendo dalle posizioni della dottrina, che si era attestata su due orientamenti: la teoria contrattualistica, che riteneva sussistere un rapporto di parasubordinazione, e la tesi del rapporto organico, secondo la quale, al contrario, amministratore e società diventavano indistinguibili.

La giurisprudenza, allo stesso modo, era stata animata da tesi opposte sfociate in una pronuncia a Sezioni Unite (sentenza n. 10680/1994), che si era espressa a favore della qualificazione del rapporto come parasubordinato ex art. 409 comma 3 cpc, in quanto l’attività dell’amministratore era da considerarsi personale, continuata e coordinata.

L’orientamento maggioritario si era poi assestato su tale pronuncia, anche se non sono mancate sentenze contrarie per le quali il rapporto societario avrebbe avuto natura autonoma e tipica.

Sezioni Unite: prevale l’orientamento minoritario, non c’è parasubordinazione

Le Sezioni Unite intervengono ora nuovamente, a fronte di numerosi aspetti, tra cui “la nuova configurazione dell’intero sistema societario derivante dalle novelle legislative”, nonché “il diverso approccio alla materia che non tenga conto di problematiche attinenti solo alla competenza ed al rito”.

Con la sentenza a Sezioni Unite n.1545/2017 i giudici della Cassazione sposano l’orientamento finora minoritario, sovvertendo l’elaborazione giurisprudenziale precedente.

Fondamentale risulta il mutato assetto normativo, per il quale (come specificato anche con sentenza n. 14369/15 della Suprema Corte) tra i rapporti societari di cui all’art. 3, comma 2, lett. a) del d.lgs. n. 168 del 2003 – per l’individuazione della competenza per materia del tribunale delle imprese – deve farsi rientrare necessariamente anche il rapporto tra società ed amministratori, “data l’essenzialità del rapporto di rappresentanza in capo a questi ultimi come rapporto che, essendo funzionale, secondo la figura della c.d. immedesimazione organica, alla vita della società, consente alla stessa di agire”.

Nella situazione attuale, l’amministratore di società non risponde in alcun modo ad altri del proprio operato, mancando quel coordinamento gerachico verticale nei confronti di altri superiori tipico della parasubordinazione: l’amministratore è, al contrario, “il vero egemone dell’ente sociale”.

Le Sezioni Unite pertanto concludono affermando il seguente principio di diritto: “l’amministratore unico o il consigliere d’amministrazione di una società per azioni sono legati da un rapporto di tipo societario che, in considerazione dell’immedesimazione organica che si verifica tra persona fisica ed ente e dell’assenza del requisito della coordinazione, non è compreso in quelli previsti dal n. 3 dell’art. 409 c.p.c. Ne deriva che i compensi spettanti ai predetti soggetti per le funzioni svolte in ambito societario sono pignorabili senza i limiti previsti dal quarto comma dell’art. 545 c.p.c.”

Il rapporto fra amministratore e società è dunque da qualificarsi come rapporto di società, in quanto volto ad “assicurare l’agire della società, non assimilabile, in quest’ordine di idee, né ad un contratto d’opera […] né tanto meno ad un rapporto di tipo subordinato o parasubordinato”.

La pignorabilità nei limiti del solo quinto dello stipendio percepito non è pertanto applicabile al consigliere di amministrazione di una società.

Chiara Pezza

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