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Manomette il registro delle presenze, sì al licenziamento!

Si può manomettere un registro informatico per alterare le proprie presenze sul luogo di lavoro?

A questo interrogativo ha risposto la Corte di cassazione civile, sezione lavoro, con la sentenza n. 6991 del 17 marzo 2017.

Lavoratore manomette il registro delle presenze: i fatti

Un impiegato di un istituto bancario, in ferie per cinque giorni, altera volontariamente il registro informatico delle presenze della banca, facendo risultare la propria presenza durante i giorni di assenza. Scoperta la manomissione, l’istituto bancario licenzia per giustificato motivo soggettivo il lavoratore, che impugna il licenziamento sia in primo che in secondo grado. Entrambi i giudizi si concludono con il rigetto delle sue istanze, per cui il lavoratore ricorre in cassazione.

Lavoratore manomette il registro delle presenze: il licenziamento è legittimo

Secondo la Cassazione – pronuncia n. 6991/2017 – i motivi di ricorso non sono accoglibili, in quanto infondati ed inammissibili.

In relazione alla mancata valutazione di fatti decisivi per il giudizio (secondo il disposto dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c.) a detta del lavoratore la Corte d’appello non avrebbe valutato il “Manuale concernente il funzionamento del sistema di rilevazione delle presenze/assenze in servizio”, esame che era invece da considerarsi determinante a prescindere dalle risultanze testimoniali assunte in corso di causa sull’intenzionalità della sua condotta.

Al riguardo, la Corte di legittimità ricorda la propria giurisprudenza costante in materia (tra le più recenti sentenze citate: Cass. n. 1414/2015 e Cass. n. 13054/2014) sottolineando come “è devoluta al giudice di merito l’individuazione delle fonti del proprio convincimento e, pertanto, anche la valutazione delle prove, il controllo della loro attendibilità e concludenza, la scelta – tra le risultanze probatorie – di quelle ritenute idonee ad accertare i fatti oggetto della controversia, privilegiando in via logica taluni mezzi di prova e disattendendone altri, in ragione del loro spessore probatorio, con l’unico limite dell’adeguata e congrua motivazione del criterio adottato”.

Un riesame delle circostanze di fatto e delle risultanze istruttorie non è ammissibile in sede di legittimità: la ricostruzione motivazionale della Corte d’appello viene infatti ritenuta “ineccepibile” dalla Cassazione, considerato peraltro che “la ricostruzione del sistema di rilevazione informatico delle presenze/assenze come esposta dal lavoratore non è utile a fare dubitare che [il lavoratore] abbia intenzionalmente commesso í fatti, perché al contrario indica soltanto che egli ha agito con dolo e confidando che la Banca datrice di lavoro non verificasse concretamente le risultanze del sistema”.

Il secondo motivo, infondato, riguardava invece la tempestività della contestazione del licenziamento, qualificato dal lavoratore come non immediato e pertanto tardivo.

Anche in questo caso, le doglianze del ricorrente non sono state accolte. La corte di Cassazione ha infatti ritenuto che sotto tale profilo la ricostruzione della Corte d’appello fosse ancora una volta condivisibile, atteso che la stessa aveva correttamente fatto applicazione delle proprie prerogative decisionali in quanto, come emerge anche dai precedenti in materia (fra cui Cass. 29480/2008 e Cass. 22066/2007): “il concetto di tempestività della contestazione deve essere inteso in senso relativo, potendo essere compatibile con un intervallo necessario, in relazione al caso concreto e alla complessità dell’organizzazione del datore di lavoro, per un adeguato accertamento e una precisa valutazione dei fatti”.

Alla luce della pronuncia della Cassazione, pertanto, che conferma le risultanze degli altri gradi di giudizio, il licenziamento è da considerarsi pienamente legittimo.

Chiara Pezza

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