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Periodo di comporto: il riconoscimento della gravità della malattia non dipende dall’arbitrio del datore

Periodo di comporto e gravità della malattia: lavoratore licenziato

Il dipendente di una società per azioni, con funzioni di operatore di esercizio, veniva licenziato a distanza di poco più di un mese prima per scarso rendimento (ex articolo 27 lett. d) dell’allegato A al RD 148/1931), e in un secondo momento per superamento del periodo di comporto frazionato, a seguito di un intervento chirurgico grave (frattura scomposta del malleolo peroneale con intervento chirurgico di osteosintesi effettuato con placche e viti metalliche).
Impugnato il licenziamento, il giudice del lavoro respingeva la domanda, e anche in secondo grado i giudici d’Appello confermavano il licenziamento.

Periodo di comporto: il riconoscimento della gravità della malattia non dipende dall’arbitrio del datore

Sulla questione si è espressa la Corte civile di Cassazione, sezione lavoro, con la sentenza 28 febbraio 2017 n. 5212 la quale, nel ritenere due motivi infondati ed uno improcedibile, accoglie tuttavia le istanze del ricorrente articolate nel terzo motivo.
Secondo la ricostruzione del lavoratore infatti non è corretta, da parte dei giudici di merito, la non applicabilità al suo caso del periodo di comporto prolungato a trenta mesi, come previsto dall’articolo 1 co.4 del CCNL ASSTRA (del 19.9.2005) per le situazioni di “altri interventi operatori e malattie debitamente certificate e riconosciuti egualmente gravi dall’azienda”.
La corte di merito aveva motivato l’esclusione del prolungamento ritenendo fondante il mancato riconoscimento della gravità della malattia da parte del datore di lavoro, considerando tale riconoscimento (in questo caso non ottenuto) quale condizione sospensiva meramente potestativa. Tale qualificazione, per il ricorrente, costituiva invece un’interpretazione in contrasto sia con il dato letterale che con la ratio della disposizione del contratto collettivo.
La Cassazione accoglie le doglianze del ricorrente laddove ritiene che l’interpretazione del giudice di merito della gravità della malattia come condizione sospensiva del diritto del lavoratore al comporto prolungato (con conseguente inapplicabilità della disposizione) non possa considerarsi conforme al canone dell’interpretazione letterale.
La sentenza impugnata, secondo i giudici, non ha analizzato la gravità della patologia dell’appellante –  considerando come non avverata una condizione sospensiva del diritto – a causa di una ricognizione della disciplina del contratto collettivo (in particolare dell’articolo 1 co 4 CCNL ASTRA) che può considerarsi “erronea”.
La corte pertanto sancisce la cassazione della sentenza d’appello con rinvio degli atti ad altro giudice, stabilendo il seguente principio di diritto «La norma dell’articolo 1 co.4 CCNL ASTRA deve interpretarsi nel senso che: la « gravità» della malattia, nei sensi indicati dalla norma collettiva, è il fatto costitutivo del diritto del lavoratore al comporto prolungato; il riconoscimento della predetta gravità da parte del datore di lavoro non costituisce evento condizionante il diritto del lavoratore ma esprime il momento di accertamento consensuale della ricorrenza nel caso concreto della fattispecie astratta prevista dalla norma . Ne consegue ulteriormente che ove nel corso del rapporto di lavoro sia mancato tale accertamento – ovvero le parti non abbiano concordato sulla applicabilità nella fattispecie concreta della previsione collettiva- il giudizio di sussunzione della fattispecie concreta nella norma elastica dell’articolo 1 co. 4 del CCNL citato è rimesso al giudice del merito».
Chiara Pezza

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