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Codice UE contro l’Hate Speech, i primi risultati dopo sei mesi

La prima relazione sul contrasto all’Hate Speech

Lo scorso 7 dicembre è stata rilasciata la prima relazione sul funzionamento del Codice di condotta sulle espressioni e illegali di odio online (Hate Speech), pubblicato nel maggio 2016 su proposta della commissaria europea per la giustizia, la tutela dei consumatori e l’uguaglianza di genere, Věra Jourová.

La Commissione si è avvalsa della collaborazione di alcune tra le più influenti aziende di Information Technology (IT): Facebook, Twitter, YouTube e Microsoft.

La collaborazione tra istituzioni pubbliche e aziende private

La cooperazione tra l’istituzione europea e queste grandi multinazionali del web è stata pensata per mettere in atto una strategia in grado di contrastare la nascita e l’incitamento di cosiddetti “discorsi d’odio”, i quali si concretizzano in espressioni di bullismo, xenofobia, razzismo e – stando agli ultimi risultati emersi – persino reclutamento terroristico.

Persino il governo tedesco ha cercato la collaborazione diretta di Facebook per il contrasto al terrorismo ed ancora prima è stato istituito, a livello europeo, anche l’EU Internet Forum.

La strategia di contrasto

Il codice tra l’istituzione europea e le aziende statunitensi prevedeva la revisione delle politiche di funzionamento aziendali con il fine di rimuovere o disabilitare l’accesso dei contenuti ritenuti “illegali” in meno di 24 ore, ma soprattutto con l’intenzione di mantenere internet un luogo di espressione libera e democratica.

Per l’appunto, l’incarico che queste multinazionali hanno assunto nei confronti delle istituzioni e dei cittadini europei è quello di rapportare al meglio la libertà di espressione e la tutela che gli stessi utenti devono ricevere.

Per fare ciò è necessario un efficiente apparato in grado di gestire le segnalazioni di offese e dare un altrettanto efficiente informativa agli utenti.

I risultati della prima relazione

I risultati di questo tipo di approccio sono arrivati nei primi sei mesi di applicazione di questa strategia

L’intervento di nessuna delle quattro società è arrivato nel termine di 24 ore dalla segnalazione, in compenso però l’80 per cento degli interventi è stato posto in essere entro le 48 ore.

Il campione di dati, raccolto in sei settimane, si riferisce a 600 segnalazioni provenienti da 9 Stati membri e sottoposte al monitoraggio di 12 ONG, almeno una per Stato.

L’azione di contrasto – cioè quella di gestione delle segnalazioni e di eventuale rimozione dei contenuti – ha assunto significati diversi a seconda delle risorse allocate in ciascun Stato membro partecipante. Si ha infatti un inferiore numero di segnalazioni in quelli che hanno destinato minori risorse per la causa.

Della totalità delle segnalazioni solamente il 28,8 per cento sono state le rimozioni effettive.

Come interagiscono la normativa vigente e codice di condotta?

Una definizione europea di discorso d’odio è da individuarsi nella decisione quadro del Consiglio dell’Unione Europea 2008/913/GAI, attraverso cui sono state poste le basi per una lotta, comune agli Stati membri, a discriminazioni razziali, xenofobe o – più in generale – “discriminazioni d’odio”.

Una lotta che attraverso il codice di condotta viene fatta, non solo attraverso sanzioni penali e la cooperazione tra le polizie europee, ma anche attraverso accordi con le stesse aziende private che gestiscono ingenti comunicazioni del web.

Il Codice contro l’hate speech tenta così di agevolare il contrasto di tali contenuti online cercando in qualche modo di bypassare ostacoli talvolta incontrati dagli organi con funzioni pubbliche

Nonostante al punto 6 il documento in questione riconosca la funzione essenziale che i tribunali mantengono in materia di tutela dei diritti, nei fatti la Commissione ha avviato una sorta di delega di funzioni pubbliche in capo a soggetti privati.

Viene precisato come spetti alle IT companies la valutazione dell’entità del contenuto ritenuto illegale, tenendo innanzitutto conto delle rispettive « regole e linee guida aziendali »; solo se ritenuto necessario le multinazionali tenteranno di applicare la disciplina comunitaria oppure, ove possibile, quella nazionale (sebbene, da quest’ultimo punto di vista, non vi sia omogeneità tra gli Stati membri nella definizione di hate speech).

Censura o tutela della libertà d’espressione?

Proprio questa potenziale delega di funzioni pubbliche ha destato l’allarme di associazioni che monitorano la libertà di espressione, in particolare su internet.

Il codice lascia molta libertà d’azione e discrezionalità nella valutazione, senza concedere in cambio spazio all’intervento pubblico nel contrasto all’argomento in questione. È capitato che campagne di sensibilizzazione contro il cancro al seno abbiano recepito e rimosso alcuni contenuti come contrastanti con i Termini di servizio di Facebook.

Le preoccupazioni delle associazioni si raccolgono attorno al fatto che, senza che vi siano dei controlli, questo ampio potere possa tradursi in censura.

D’altro canto non si può trascurare anche che, ad oggi, il codice di condotta non possiede un valore giuridico vincolante per queste IT companies.

Ulteriori dubbi sono stati avanzati in relazione al grande potere che esse hanno nel gestire flussi informatici tra cui le notizie.

In particolare ci si chiede se e in che modo la rimozione di determinati contenuti, ritenuti hate speech dalle IT companies, possa condizionare il pensiero di massa in una direzione o in un’altra (ad es. durante le campagne elettorali o anche la manipolazione dei sentimenti delle masse).
Se il programma di “contrasto all’odio” online,voluto dalla Commissione europea, produrrà effetti positivi lo sapremo solo nel tempo, certo è che un accordo simile che coinvolge queste grandi multinazionali non può essere mancante di idonee misure di controllo nei loro confronti.

Luigi Coccimiglio

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