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Corte UE: niente asilo per chi ha legami col terrorismo

Corte UE: niente asilo per chi ha legami col terrorismo

Potrebbe sembrare evidente il fatto che gli Stati membri abbiano il diritto di respingere una domanda di asilo nel caso in cui il richiedente abbia partecipato alle attività di una rete terroristica; in realtà, una vicenda giudiziaria sorta in Belgio ha portato a riflettere sulla liceità di tale diniego ove il richiedente asilo non abbia materialmente commesso o istigato atti terroristici, ma “unicamente” agevolato le attività dell’organizzazione terroristica.

La questione è arrivata dinanzi alla Corte di Giustizia, la quale, il 31 gennaio 2017, ha risposto ad un rinvio pregiudiziale sollevato dal Consiglio di Stato belga in merito alla causa Commissaire général aux réfugiés et aux apatrides/Mostafa Lounani (C-573/14).

Il caso

Il Sig. Lounani, cittadino marocchino, dal 1997 residente illegalmente in Belgio, nel 2006 era stato condannato dal Tribunale penale di Bruxelles ad una pena detentiva, poi diventata definitiva, a causa del suo supporto logistico ad un’organizzazione terroristica.

L’uomo, infatti, in qualità di membro dirigente di una cellula terroristica belga, nota come “gruppo islamico dei combattenti marocchini”, era stato giudicato colpevole di aver falsificato dei passaporti e di aver aiutato alcuni volontari a recarsi in Iraq.

Dopo essere stato condannato, il Sig. Lounani aveva presentato una richiesta di asilo alle autorità belghe poiché temeva di subire persecuzioni in Marocco a causa del suo etichettamento come islamista radicale, derivante dalla condanna subita in Belgio.

In un primo momento la sua domanda di asilo era stata respinta, ma successivamente, a seguito di ricorso, all’uomo era stato concesso lo status di rifugiato per via del fatto che non era stato condannato per aver commesso o per aver partecipato ad un atto terroristico e i reati che gli erano stati addebitati non raggiungevano il livello di gravità richiesto dalla Direttiva 2004/83/CE sullo status di rifugiato.

La vicenda era poi giunta dinanzi al Consiglio di Stato belga, organo di ultima istanza, che aveva domandato alla Corte di Giustizia di fornire chiarimenti sulle condizioni che permettono di negare lo status di rifugiato a chi è stato condannato penalmente per aver partecipato alle attività di un gruppo terroristico senza aver commesso però alcun attentato.

Nessun diritto di asilo: la decisione della Corte

Niente asilo se legami col terrorismo

La Direttiva 2004/83/CE sullo status di rifugiato richiede che gli atti compiuti dal richiedente asilo siano “contrari alle finalità e ai principi delle Nazioni Unite” per potergli negare l’accoglimento della domanda di asilo (art. 12, par. 2, lettera c).

A parere della Corte di Giustizia, tale ultima nozione, che rimanda alla Carta delle Nazioni Unite, e va interpretata alla luce della Convenzione di Ginevra del 1951 sullo status dei rifugiati, non può dirsi limitata a colpire unicamente gli autori materiali di un attentato, ma deve includere anche i soggetti che svolgono attività di sostegno logistico all’organizzazione terroristica.

Per rafforzare il proprio ragionamento, la Corte cita anche diverse risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell’ONU nelle quali, oltre ad emergere la preoccupazione per l’aumento delle cellule terroristiche e dei combattenti terroristi stranieri, vengono condannate tutte le forme di sostegno a gruppi terroristici e vengono invitati gli Stati a privare di asilo chiunque si sia reso colpevole di tali attività.

La Corte sottolinea, inoltre, che il Sig. Lounani era uno dei dirigenti del gruppo terroristico operante su scala internazionale e risultava anche iscritto, sin dal 2002, in un elenco delle Nazioni Unite che identifica determinate persone ed entità oggetto di sanzioni.

La Corte di Giustizia, pertanto, dopo aver sottolineato che la competenza finale a decidere sull’accoglimento o meno di una domanda di asilo rimane delle autorità nazionali, ha invitato espressamente il giudice remittente a tenere in considerazione che tutti gli elementi emersi potevano giustificare il diniego dello status di rifugiato.

Nessun commento della Corte, invece, sui rischi che il Sig. Lounani aveva asserito di poter correre nel tornare nel suo Paese di origine, come a voler chiarire che la sicurezza nazionale degli Stati membri deve, in questi casi, sempre prevalere.

Mia Magli

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