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La frode sportiva, natura del reato e riferimenti normativi

 

La frode sportiva, natura del reato e riferimenti normativi

Il fenomeno calcioscommesse del 2011, fu un grande scandalo che colpì il calcio italiano, vedendo coinvolti giocatori, dirigenti e società professionistiche. L’accusa principale nei confronti degli indagati fu quella di associazione a delinquere finalizzata alla truffa ed alla frode sportiva. Lo scandalo venne alla luce il 1º giugno 2011 quando, a seguito di indagini condotte dalla Procura di Cremona nell’ambito dell’inchiesta denominata “Last bet”, furono eseguiti numerosi provvedimenti di custodia cautelare, nei confronti di varie persone legate al mondo del calcio e a quello delle scommesse sportive. L’indagine “Last Bet” affronta, forse per la prima volta sul piano strutturale, anche in ragione della contestazione del reato associativo, il fenomeno molto ramificato dell’alterazione degli esiti di competizioni calcistiche appartenenti a campionati ufficiali. La fattispecie è modellata sulla falsariga del reato di associazione a delinquere, che, come confermato dalla Corte di Cassazione, ha come elemento essenziale del reato l’accordo associativo, creando un vincolo permanente a causa della consapevolezza di ciascun aderente all’associazione di far parte del sodalizio criminale. La legge, peraltro, sembra voler incriminare due condotte: una forma di corruzione, puntualmente determinata, nella sua tipicità, dal legislatore, ed una frode sportiva per così dire generica, fattispecie sussidiaria dai contorni assai lati.

Le origini

Ma il fenomeno illegale generalmente denominato, appunto, «toto nero» o «scommesse clandestine» trae origine dalle famose vicende risalenti agli anni ‘70 ed ai primi anni ‘80 e che vide coinvolti, tra gli altri,  anche alcuni calciatori di serie A.

Per molti atleti, infatti, era abitudine scommettere, direttamente o tramite loro amici o complici (su canali, appunto, clandestini rispetto ai tradizionali sistemi di scommessa sulle partite che, fino a pochi anni or sono, si esprimevano quasi interamente nella giocata della classica schedina), sui risultati degli incontri ai quali, poi, avrebbero essi stessi partecipato. E’ evidente, pertanto, il conflitto di interessi, considerato che il calciatore avrebbe inevitabilmente modulato il proprio rendimento in funzione della realizzazione del risultato sul quale aveva scommesso.

Vi era, inoltre, la preoccupazione di garantire il corretto e regolare svolgimento delle competizioni sportive dalle infiltrazioni di ambienti malavitosi, così come anche il tentativo di impedire la perdita di fiducia e di credibilità, da parte degli appassionati e dell’opinione pubblica in genere, sulla genuinità dei risultati delle competizioni sportive. Quindi sulla scia di tali vicende e preoccupazioni, la vigente disciplina sportiva fa espresso divieto ai calciatori ed ai tesserati in genere, di effettuare qualsivoglia scommessa al fine di trarre profitto, anche perché una tale condotta mal si concilia con lo spirito sportivo.

La legge n.401/1989

Proprio per arginare tale fenomeno illecito, la legge n.401/1989 sugli «Interventi nel settore del giuoco e delle scommesse clandestine a tutela della correttezza nello svolgimento di competizioni agonistiche» stabilisce, all’art. 1, che, «chiunque offre o promette denaro o altra utilità o vantaggio a taluno dei partecipanti ad una competizione sportiva organizzata dalle federazioni riconosciute dal Comitato olimpico nazionale italiano(CONI), dall’Unione italiana per l’incremento delle razze equine (UNIRE) o da altri enti sportivi riconosciuti dallo Stato e dalle associazioni ad essi aderenti, al fine di raggiungere un risultato diverso da quello conseguente al corretto e leale svolgimento della competizione, ovvero compie altri atti fraudolenti volti al medesimo scopo, è punito con la reclusione da un mese ad un anno e con la multa da Euro 258 a Euro 1032. Nei casi di lieve entità si applica la sola pena della multa».

Lo scopo della disposizione è quello di impedire l’irruzione nel mondo dello sport delle attività di gioco e di scommesse clandestine. La dottrina ha da subito messo in evidenza come l’attribuzione di un disvalore penale alle condotte di frode nelle competizioni sportive, in collegamento con l’esercizio organizzato abusivo di concorsi pronostici, giochi e scommesse su eventi sportivi, trova ragione nel fatto che esse, oltre a danneggiare spesso interessi finanziari dello Stato, costituiscono uno dei campi d’azione da cui la criminalità organizzata trae sostentamento. Inoltre, i fatti di corruttela e di frode, a ben vedere, trovano la loro causale nella gestione abusiva di attività organizzate per l’esercizio di concorsi pronostici, giochi e scommesse.

Il bene oggetto di specifica tutela, quindi, non ha natura patrimoniale, atteso che l’eventuale alterazione dello svolgimento di concorsi pronostici o scommesse è mera circostanza aggravante, ma si identifica nella salvaguardia, nel campo dello sport, di quel valore fondamentale che è la “correttezza” nello svolgimento delle competizioni agonistiche.

Si tratta, pertanto, di una forma di illecito sportivo che sembra coprire una serie di fattispecie non tutte sovrapponibili alla truffa: nella truffa, infatti, non vi è il fatto corruttivo e l’attività fraudolenta deve essere qualificata da artifizi e raggiri che inducano la parte lesa in errore, comportamenti che non sono, invece, necessari per il reato di cui si tratta. Pertanto, nei singoli casi concreti sarà possibile che la condotta integri il reato più qualificato di truffa, qualora ovviamente ne ricorrano i presupposti, in eventuale concorso con la frode sportiva.

Il reato di frode sportiva

La norma sembra incriminare due condotte: una forma di corruzione in ambito sportivo (integrata dalla offerta, promessa od accettazione di denaro od altre utilità per alterare il genuino risultato di una delle competizioni sportive tutelate), puntualmente determinata, nella sua tipicità, dal legislatore, ed una frode sportiva.

Il delitto di frode sportiva, quindi, qualifica come illecito penale, non solo l’offerta di denaro o di altra utilità ai partecipanti a competizioni sportive per raggiungere un risultato diverso da quello naturale, ma contempla anche il generico compimento di “altri atti fraudolenti volti al medesimo scopo”», che devono essere identificati alla stregua degli atti espressamente individuati “nell’offerta o promessa di denaro o di altra utilità o vantaggio a taluno dei partecipanti ad una competizione sportiva organizzata da alcuna delle federazioni riconosciute dal Coni».

Si tratta di un delitto di natura dolosa, quanto all’aspetto soggettivo: l’agente agisce per un fine particolare e, cioè, per il raggiungimento di un risultato diverso da quello conseguente al corretto, genuino e leale svolgimento della gara (dolo specifico).

Inoltre, come chiarito dalla Corte di Cassazione, tale reato è un delitto di attentato a forma libera, di pura condotta, in cui la soglia della punibilità è anticipata al compimento di un’attività finalizzata ad alterare lo svolgimento della competizione, sicché lo stesso si consuma nel momento e nel luogo in cui si verifica la promessa o l’offerta di un vantaggio indebito o la commissione di ogni altra condotta fraudolenta, non essendo necessario che il risultato agonistico sia in concreto alterato (Cass. Pen. Sent. n. 36350/2015).

Infatti, anche sul piano tecnico – giuridico, non appare necessaria l’accettazione della promessa o del denaro, né, tantomeno, il raggiungimento dell’obiettivo, rivelandosi sufficiente una seria promessa che giunga a conoscenza del destinatario. Il delitto di frode sportiva, cioè, «si consuma nel momento e nel luogo in cui si verifica la promessa o l’offerta di un vantaggio indebito o la commissione di ogni altra condotta fraudolenta, e non in quello dell’accettazione di tale promessa od offerta».

Insomma, la frode sportiva può definirsi un delitto di comportamento, la cui antigiuridicità deriva dalla pericolosità della condotta attuata dagli agenti.

In altri termini, si tratta di un reato a consumazione anticipata, per la cui esistenza è necessaria la semplice condotta e non la realizzazione dell’evento: è, dunque, sufficiente che l’offerta o la promessa corruttiva vengano portate a conoscenza dei partecipanti. Non è invece richiesto né che l’offerta venga accettata o la promessa accolta, né tantomeno che il risultato della competizione sia in alcun modo alterato: ciò che rileva unicamente è che vi sia stato il pericolo di ledere il bene giuridico tutelato.

I rapporti tra il procedimento penale e quello sportivo

Inoltre, quanto ai rapporti tra il procedimento (penale) per frode in competizione sportiva e quello (sportivo) per illecito sportivo, la norma di cui all’art. 2 della legge n. 401/1989 ne prevede la reciproca autonomia, disponendo che ciascun procedimento rimanga confinato nella propria area di competenza, salva fatta la possibilità, espressamente stabilita dal comma 3, che «gli organi della disciplina sportiva, ai fini esclusivi della propria competenza funzionale, possono chiedere copia degli atti del procedimento penale ai sensi dell’art. 116 del codice di procedura penale fermo restando il divieto di pubblicazione di cui all’art. 114 dello stesso codice». Insomma, l’esercizio dell’azione penale non influisce in alcun modo sui procedimenti e sui provvedimenti degli organismi di disciplina sportiva.

Non da meno, alla luce del più recente orientamento giurisprudenziale, è la circostanza  che truccare le partite di calcio d’ora in poi comporterà anche l’obbligo di risarcire i tifosi  per danno morale.

Appare evidente, quindi, che il calcio, oggi, soprattutto nel nostro paese, sia ormai affetto da una irreversibile patologia letale e fino a quando gli interessi economici, si sovrapporranno all’enfasi della vittoria in campo, il calcio diventerà (se non lo è già diventato) l’ennesima sceneggiatura di un film già visto.

Mariano Fergola

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