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Può aversi trasferimento di azienda in presenza di appalto retrocesso?

Può aversi trasferimento di azienda in presenza di appalto retrocesso? Corte di Cassazione, sent. 15 marzo 2017, n. 6770.

Il caso

Una lavoratrice aveva notificato un atto di precetto alla società Hilton Italiana S.r.l., con il quale si intimava alla stessa di adempiere a una precedente sentenza che condannava la ditta presso la quale la ricorrente aveva prestato la propria opera alla reintegra in servizio e al pagamento dell’indennità risarcitoria, sul presupposto che la ditta intimata sarebbe succeduta (ai sensi dell’art. 2112 c.c.) a quest’ultima nel rapporto di lavoro quale cessionaria dell’azienda.

La Hilton difatti aveva affidato l’appalto per la fornitura dei servizi operativi per il proprio centro di fitness e benessere interno a uno dei suoi alberghi a quest’ultima società, ma, secondo la Corte d’Appello, non aveva mai trasferito la gestione del centro. Essa, invece, avrebbe provveduto a stipulare un mero appalto di servizi, contratto con il quale il committente non dismette un segmento produttivo, ma si avvale dei prodotti e servizi che gli necessitano attraverso la fornitura da una impresa terza. Conseguentemente, la Corte territoriale aveva escluso che con la cessazione dell’appalto si fosse verificata una retrocessione del ramo di azienda, ai sensi dell’articolo 2112 c.c., e aveva pertanto dato torto alla lavoratrice, riformando la sentenza di primo grado.

I motivi di ricorso

La ricorrente, affidandosi a un unico motivo di ricorso, sosteneva che l’esistenza di una fattispecie di appalto di servizi non escluderebbe, contrariamente a quanto affermato dal Giudice di appello, il verificarsi di una ipotesi di trasferimento di azienda. La fattispecie successoria di cui all’articolo 2112 c.c., pertanto, si potrebbe verificare indipendentemente dallo strumento giuridico formalmente adottato, ed anche nell’ipotesi di cessazione di un appalto di servizi allorché alla scadenza si realizzi un passaggio dell’azienda dall’appaltatore al committente.

Nel caso di specie ciò si sarebbe per l’appunto verificato nel momento della cessazione dell’appalto di servizi di cui si tratta, allorquando l’attività affidata era stata nuovamente internalizzata dalla ditta committente; a sostegno di tale tesi si adduceva il fatto che i locali, le attrezzature, l’organizzazione complessiva del centro fitness e quasi tutti i dipendenti erano difatti passati alla gestione diretta della stessa Hilton.
Conseguentemente, la Hilton, ai sensi della norma citata, sarebbe stata correttamente intimata dalla ricorrente con la notifica del precetto di cui è causa.

La decisione della Corte di Cassazione.

La Suprema Corte, nel decidere la questione dando ragione alla lavoratrice, si è richiamata non solo a suoi numerosi precedenti, ma anche alla giurisprudenza della Corte di Giustizia UE.

Va innanzitutto ricordato il disposto dei commi rilevanti dell’art. 2112 c.c.:
1. In caso di trasferimento d’azienda, il rapporto di lavoro continua con il cessionario ed il lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano.
2.Il cedente ed il cessionario sono obbligati, in solido, per tutti i crediti che il lavoratore aveva al tempo del trasferimento […]
[…]
5. Ai fini e per gli effetti di cui al presente articolo si intende per trasferimento d’azienda qualsiasi operazione che, in seguito a cessione contrattuale o fusione, comporti il mutamento nella titolarità di un’attività economica organizzata, con o senza scopo di lucro, preesistente al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità a prescindere dalla tipologia negoziale o dal provvedimento sulla base del quale il trasferimento è attuato ivi compresi l’usufrutto o l’affitto di azienda. Le disposizioni del presente articolo si applicano altresì al trasferimento di parte dell’azienda, intesa come articolazione funzionalmente autonoma di un’attività economica organizzata, identificata come tale dal cedente e dal cessionario al momento del suo trasferimento.
6, Nel caso in cui l’alienante stipuli con l’acquirente un contratto di appalto la cui esecuzione avviene utilizzando il ramo d’azienda oggetto di cessione, tra appaltante e appaltatore opera un regime di solidarietà di cui all’articolo 29, comma 2, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276”.

La Corte di legittimità, con sent. 11918/2013 e numerosi altri precedenti conformi (Cass. 13 aprile 2011 n. 8460; Cass. 15 ottobre 2010 n. 21278; Cass. 10 marzo 2009 n. 5708; Cass. 8 ottobre 2007 n. 21023; Cass. 13 gennaio 2005 n. 493; Cass. 27 aprile 2004 n. 8054; Cass. 29 settembre 2003 n. 13949), aveva già affermato che “ai fini del trasferimento d’azienda, la disciplina di cui all’art. 2112 cod. civ. postula soltanto che il complesso organizzato dei beni dell’impresa – nella sua identità obiettiva – sia passato ad un diverso titolare in forza di una vicenda giuridica riconducibile al fenomeno della successione in senso ampio, potendosi così prescindere da un rapporto contrattuale diretto tra l’imprenditore uscente e quello che subentra nella gestione. Tuttavia, non può ravvisarsi un trasferimento d’azienda in ipotesi di successione nell’appalto di un servizio, ove non sia dimostrato un passaggio di beni di non trascurabile entità, e tale da rendere possibile lo svolgimento di una specifica impresa”.
Per converso, quindi, quando alla cessazione dell’appalto il servizio torni in gestione diretta all’imprenditore già committente, ben potrebbe verificarsi un trasferimento d’azienda in presenza di un passaggio di beni di rilevante entità, tali da permettere la prosecuzione internalizzata delle attività prima appaltate.

La Cassazione, come anticipato, si è richiamata anche a numerose e sempre costanti decisioni della Corte di Giustizia (ex multis: Corte giustizia UE, sez. II, 09/09/2015, Joào Filipe Ferreira da Silva e Brito), la quale ritiene che il criterio decisivo per stabilire se sussista un trasferimento, nel senso della direttiva 2001/23, è da ricercarsi nel fatto che l’entità economica trasferita (nel caso in commento, quindi, il servizio prima esternalizzato mediante appalto e poi internalizzato) conservi la sua identità, e questo a prescindere dal cambiamento del proprietario.
Ciò si desume in particolare dal proseguimento effettivo o dalla ripresa della sua gestione, prendendo in considerazione il complesso delle circostanze di fatto che caratterizzano l’operazione (in particolare, il tipo d’impresa o di stabilimento in questione, la cessione o meno degli elementi materiali, il loro valore al momento del trasferimento, la riassunzione o meno della maggior parte del personale da parte del nuovo imprenditore, il trasferimento o meno della clientela, il grado di analogia delle attività esercitate prima e dopo la cessione, ecc.).

La Corte tuttavia rimarca come tali aspetti siano solo parte di una vicenda in verità più complessa, sicché il loro peso sulla decisione deve essere valutato in relazione al tipo di attività esercitato e alle sue concrete modalità di svolgimento.
Infatti, sempre sulla scorta della giurisprudenza della Corte di Giustizia, la Cassazione ricorda innanzitutto che l’accertamento dell’avvenuto trasferimento non è necessariamente subordinato al trasferimento della proprietà degli elementi materiali dell’azienda. Al contrario, nei settori in cui l’attività svolta si fonda essenzialmente sulla mano d’opera invece che sul possesso di rilevanti assets produttivi materiali, un gruppo di lavoratori costituente parte essenziale del personale specificamente destinato dal predecessore all’attività economica de qua ben può corrispondere ad un’entità economica che, in relazione ai suesposti criteri (tipo e modalità di esercizio dell’attività), se ceduta ben potrebbe integrare un trasferimento di azienda. Nel caso di specie, come addotto dalla ricorrente, non solo i locali, le attrezzature, e l’organizzazione complessiva del centro fitness erano passati alla gestione diretta della stessa Hilton, ma altresì quasi tutti i dipendenti.

Si evince quindi con facilità che la Corte d’Appello, che ha dato torto alla lavoratrice escludendo alla radice la sussistenza di un trasferimento di azienda rilevante ai sensi dell’art. 2112 c.c. fondandosi esclusivamente sul dato meramente formale del tipo di contratto in essere tra le due società, ha deciso in contrasto con tutti i predetti criteri, di fatto granitici sia in seno alla giurisprudenza di legittimità, sia alla giurisprudenza europea.
La Suprema Corte, pertanto, ha cassato la sentenza impugnata e rinviato la causa alla Corte d’Appello competente in diversa composizione.

Il testo integrale della sentenza in commento è rinvenibile a questo link.

Davide Baraglia

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