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Condomino difende il parcheggio con la pistola di plastica: condannato per minaccia

Condomino difende il parcheggio con la pistola di plastica: condannato per minaccia

Una storia antica come è antico il mondo: la lite per un posto nel parcheggio condominiale. Ma la nostra storia è diversa, ha una particolarità, se non unica, quantomeno irripetibile (o quasi) nella storia: il sedicente boss minaccia con pistola di plastica (guappo di cartone) e l’offeso (abusivo) che ha visto, in quegli istanti, la propria vita appesa ad un filo ( e se la pistola fosse stata vera?).
E così, si becca una condanna per minaccia, il condomino che impugnando una pistola di plastica impedisce al vicino di parcheggiare l’auto nel cortile. È quanto stabilito dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 2532/2017.

Il fatto

Il ricorrente era stato ritenuto responsabile dalla Corte d’Appello di Napoli del reato ex art. 612 comma 2 c.p. (minaccia) e condannato a 4 mesi di carcere nonché al risarcimento danni in favore del vicino, per avergli impedito, puntandogli contro una pistola di plastica, di parcheggiare il proprio mezzo all’interno dell’androne del palazzo dove risiedevano entrambi.
In effetti, nello specifico, all’imputato era stata contestata la violenza privata, mentre poi la condanna è arrivata per minaccia aggravata.
Il ricorrente, pertanto, lamentava difetto di correlazione tra imputazione e sentenza, poiché la legge consente di condannare per un fatto anche se diversamente qualificato ma non per un altro fatto, pur contenuto negli atti.
Ma, il passaggio da violenza a minaccia, scrivono i giudici, è avvenuto perché “in tema di reati contro la persona, ai fini della configurabilità del reato di minaccia grave, ex art. 612, comma 2, c.p. rileva l’entità del turbamento psichico che l’atto intimidatorio può determinare sul soggetto passivo; pertanto, non è necessario che la minaccia sia circostanziata, potendo benissimo, ancorché pronunciata in modo generico, produrre un turbamento psichico, avuto riguardo alla personalità dei soggetti (attivo e passivo) del reato.
L’uomo lamentava, altresì, il difetto di correlazione tra imputazione e sentenza, per via della riqualificazione del delitto contestato, nonché violazione di legge, ritenendo che nel comportamento ascrittogli non fossero presenti gli elementi costitutivi integranti la fattispecie di cui all’art. 612 c.p. perché l’arma non era stata puntata verso la parte offesa e le frasi minacciose attribuitegli (“in questo palazzo comando io”) non erano rivolte espressamente nei confronti della stessa né prefiguravano un danno ingiusto.

La risposta della Corte di Cassazione

Ma è opportuno specificare, quanto alla prima questione, che per la Cassazione non sussiste alcuna violazione del principio di correlazione tra imputazione e sentenza posto che in tema il rispetto della regola del contraddittorio che va assicurato all’imputato anche in ordine alla diversa definizione giuridica del fatto, “impone esclusivamente che detta diversa qualificazione giuridica non avvenga a sorpresa e, quindi, non dando all’imputato la possibilità di interloquire sul punto”.
Quanto alla seconda, ribadiscono i giudici, il comportamento dell’imputato che alzava la pistola mostrandola di profilo e pronunciando a voce alta la frase minacciosa, nel contesto di esasperata conflittualità condominiale legata all’utilizzo del cortile comune per parcheggio, possedeva senz’altro una concreta valenza intimidatoria e poteva ritenersi diretta verso la persona offesa.
Invero, in tema di reati contro la persona, si legge infatti in sentenza, “ai fini della configurabilità del reato di minaccia grave ex art. 612 comma 2 c.p. rileva l’entità del turbamento psichico che l’atto intimidatorio può determinare sul soggetto passivo; pertanto non è necessario che la minaccia sia circostanziata potendo benissimo ancorchè pronunciata in modo generico produrre un grave turbamento psichico, avuto riguardo alla personalità dei soggetti (attivo e passivo) del reato”.
Nella specie, il giudice di merito ha ragionevolmente ritenuto la valenza intimidatrice della condotta minatoria dell’imputato posta in essere con l’esibizione di un’arma da fuoco apparentemente idonea a ledere, nel contesto di una conflittualità assai accesa fra i residenti nel palazzo.
Morale della favola: il ricorso è quindi inammissibile ed il ricorrente è condannato a quattro mesi di reclusione e mille euro di risarcimento.

Mariano Fergola

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