Shopping Cart

Constatazione amichevole, non costituisce prova precostituita

Constatazione amichevole, non costituisce prova precostituita (Cass. Pen., sez. I, n. 4995 del 01-02-2018)

Il caso e la questione

Con la recentissima sentenza n. 4995 del 01/02/2018, la Cassazione Penale, pronunciandosi su un conflitto di competenza sollevato dal GUP del Tribunale di Nola nei confronti del Tribunale di Trieste, ha vagliato la questione circa il valore probatorio del modulo C.A.I. firmato da entrambi i conducenti (in questo caso presunti tali) per determinare se esso costituisca o meno un elemento di prova precostituito nel senso indicato dall’art. 642, comma secondo, cod. pen. (che punisce chi “…denuncia un sinistro non accaduto ovvero distrugge, falsifica, altera o precostituisce elementi di prova o documentazione relativi al sinistro…”), e/o se la sua falsificazione possa integrare il delitto di falso in scrittura privata a norma dell’art. 485 cod. pen. (peraltro abrogato dal d.lgs. 15 gennaio 2016, n. 7).

Il giudizio a quo aveva infatti ad oggetto delle fattispecie criminose commesse a Nola e astrattamente riconducibili ai delitti di cui ai predetti artt. 642 c.p. (fraudolento danneggiamento dei beni assicurati e mutilazione fraudolenta della propria persona) e 485 c.p. (falsità in scrittura privata) concernenti la falsa denuncia alla Compagnia assicurativa (con sede in Trieste) di sinistri stradali in realtà mai avvenuti, eseguita per mezzo di falsi moduli C.A.I. (constatazione amichevole di incidente) e altri documenti allo scopo di ottenerne la liquidazione.

Il dibattito civilistico sul valore della constatazione amichevole

Va innanzitutto premesso che la questione circa il valore probatorio del modulo C.A.I. è stata al centro di un lungo e complesso dibattito giurisprudenziale e dottrinale in campo civile, cui è necessario accennare brevemente (ma senza alcuna pretesa di esaustività) per poter comprendere se esso possa quindi integrare o meno una “prova precostituita” e assumere quindi rilevanza ai sensi dell’art. 642, co. 2, c.p.

La norma fondamentale in materia è costituita dall’art. 143, co. 2, d.lgs. 7 settembre 2005, n. 209 (c.d. Codice delle Assicurazioni), il quale stabilisce che  «Quando il modulo sia firmato congiuntamente da entrambi i conducenti coinvolti nel sinistro si presume, salvo prova contraria da parte dell’impresa di assicurazione, che il sinistro si sia verificato nelle circostanze, con le modalità e con le conseguenze risultanti dal modulo stesso».

Il modulo di constatazione amichevole, quindi, di fatto può avere una duplice valenza: di mera denuncia di sinistro, quando esso è sottoscritto anche solo da uno degli assicurati, e di elemento di prova – dal valore come detto disputato nonostante l’apparente chiarezza della norma succitata -, quando invece sottoscritto da entrambi.

Ciò posto infatti, se è indubbio che le dichiarazioni ivi contenute rappresentano una vera e propria confessione stragiudiziale resa dal conducente responsabile del sinistro (facenti quindi piena prova contro di esso, ex art. 2733, co. 2, c.c.) nei confronti del conducente danneggiato, l’assicuratore chiamato a risarcire il danno è pur sempre un soggetto diverso dal danneggiante/dichiarante: di qui l’insorgenza di accesi conflitti in seno alla giurisprudenza civile e alla dottrina in ordine al valore probatorio da attribuire al modello di constatazione amichevole a firma congiunta.

Le principali tesi in campo e la sentenza Cass. S.S.U.U. n. 10311/06

Una prima tesi maggioritaria riconosceva quindi una diversa valenza probatoria processuale al modulo C.A.I., a seconda che le dichiarazioni confessorie fossero opposte al conducente che le aveva rese, al proprietario del veicolo (se diverso dal conducente), ovvero all’assicuratore, ritenendo quindi astrattamente possibile pervenire ad un differenziato giudizio di responsabilità in ordine ai rapporti tra danneggiato e danneggiante da un lato (le cui dichiarazioni contenute nel modulo avrebbero valore di confessione stragiudiziale, con conseguente impossibilità di provare il contrario ex art. 2733, co. 2, c.c.), e danneggiato ed assicurazione dall’altro (nei confronti della quale le medesime dichiarazioni dei due conducenti avrebbero generato solo una presunzione semplice – c.d. “iuris tantum”, superabile fornendo prova contraria).

Un diverso – e più corretto – filone interpretativo negava invece alla radice questa eventualità, in quanto vengono in considerazione fatti che hanno efficacia e rilevanza comuni per tutte le parti, il cui accertamento pertanto deve necessariamente effettuarsi in modo unitario.

Secondo questa diversa tesi troverebbe quindi applicazione la norma di cui all’articolo 2733 c.c., co. 3, secondo cui, in caso di litisconsorzio necessario (quale è quello tra danneggiato, assicuratore e danneggiante), la confessione resa da alcuni soltanto dei litisconsorti (in questo caso i due conducenti) è liberamente apprezzata dal giudice nei confronti di tutti loro, in deroga a ciò che dispone il co. 2 del medesimo articolo, secondo cui la confessione fa invece piena prova contro chi l’ha fatta (sul punto cfr. anche Cass. civ.16376/2010 e n. 12866/2009).

I vari orientamenti contrapposti formatisi sul punto sono stati infine ricomposti dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza n. 10311/06, la quale, seppure non senza qualche scostamento parziale da parte della giurisprudenza successiva anche della stessa Suprema Corte, ha chiarito che, in sostanza, le dichiarazioni contenute nel modulo di constatazione amichevole non possono fare piena prova nei confronti di alcuno dei litisconsorti chiamati in giudizio, e nemmeno del solo confitente.

Di recente si è peraltro altresì affermato che «in materia di responsabilità da sinistro stradale, ogni valutazione sulla portata confessoria del modulo di constatazione amichevole d’incidente (cosiddetto C.I.D.) deve ritenersi preclusa dall’esistenza di un’accertata incompatibilità oggettiva tra il fatto come descritto in tale documento e le conseguenze del sinistro come accertate in giudizio» (Cass. Civ. n. 15881/2013).

Concordemente all’insegnamento delle S.S.U.U. del 2006, la Cassazione ha inoltre ribadito che «nei giudizi proposti ai sensi dell’art. 18 della legge 24 dicembre 1969, n. 990 (oggi abrogato e trasfuso nell’art. 144 d.lgs. 7 settembre 2005, n. 209), gli stessi fatti che determinano la responsabilità e la condanna del danneggiante costituiscono la fonte dell’obbligazione risarcitoria dell’assicuratore, comportando una situazione di litisconsorzio necessario tra entrambi tali soggetti e il terzo danneggiato ed impedendo che si pervenga a decisioni differenziate in ordine ai rapporti tra responsabile e danneggiato, da un lato, e danneggiato ed assicuratore, dall’altro. Ne consegue che la dichiarazione confessoria, contenuta nel modulo di constatazione amichevole di incidente, resa dal responsabile del danno proprietario del veicolo assicurato, non ha valore di piena prova nemmeno nei confronti del solo confitente, ma deve essere liberamente apprezzata dal giudice, dovendo trovare applicazione la norma di cui all’art. 2733, terzo comma, cod. civ., secondo la quale, in caso di litisconsorzio necessario, la confessione resa da alcuni soltanto dei litisconsorti è, per l’appunto, liberamente apprezzata dal giudice» (Cass. Civ. n. 3567/2013).

Conclusioni: la constatazione amichevole non costituisce prova precostituita ai sensi dell’art. 642, co. 2, c.p.

Riassumendo, quindi, secondo la giurisprudenza di legittimità di cui sopra, e altresì secondo la sentenza in commento, il valore probatorio del modulo C.A.I. a firma congiunta sarebbe quindi di fatto modesto, non assumendo valore di piena prova nemmeno nei confronti del solo confitente.

Conseguentemente, quindi, un falso modulo C.A.I. non può neppure costituire un elemento di prova precostituito nel senso indicato dall’art. 642, comma secondo, cod. pen., né integrare il delitto di falso in scrittura privata a norma dell’art. 485 cod. pen., come erroneamente ipotizzato dal Tribunale di Trieste, sia perché si tratterebbe, semmai, di un falso ideologico, sia perché le fattispecie di falso di cui al predetto articolo è stata abrogata dal d.lgs. n. 7 del 2016.

Davide Baraglia

La sentenza completa è reperibile a questo link.

Ultimi articoli

I LICENZIAMENTI COLLETTIVI NEL DIALOGO DELLE ALTE CORTI
I LICENZIAMENTI COLLETTIVI NEL DIALOGO DELLE ALTE CORTI
IL SALARIO MINIMO GARANTITO: TRA SPERANZE, UTOPIE E REALTÀ
AI Act. Rischi e prospettive sui diritti fondamentali.

Formazione Professionale per Avvocati
P.Iva: 07003550824

Privacy Policy | Cookie Policy

Partner